Qualcuno si ferma a guardare il dito e intravvede soltanto i manganelli e le inutili violenze inflitte ai carcerati dagli agenti di polizia penitenziaria. Qualcun altro alza la testa, vede la luna e scorge - al di là e al di sopra dei pestaggi - anche l'inazione dell'ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Un Guardasigilli a 5 Stelle che per oltre un anno ha scelto di non sapere cosa fosse successo a Santa Maria Capua di Vetere e in tante altre carceri sottoposte al suo controllo. Quel doppio parametro ha guidato, ieri, anche la visita del premier Mario Draghi e del ministro della Giustizia Marta Cartabia al carcere Francesco Uccella di Santa Maria Capua Vetere, teatro delle violenze sui detenuti del 6 aprile del 2020. Un doppio parametro evocato da una Cartabia che da una parte parla di «violenze e umiliazioni inaccettabili», ma dall'altra invita a far si che non si ripetano atti di violenza «né contro i detenuti, né contro gli agenti di polizia penitenziaria». Parole chiare con cui il Guardasigilli invita a guardare più in alto chiedendo «di non limitarsi a condannare l'accaduto», bensì a «rimuoverne le cause più profonde e creare le condizioni ambientali perché tutto ciò non si ripeta». E Draghi affonda: «Oggi siamo qui ad affrontare le conseguenze delle nostre sconfitte». E ancora: «La responsabilità collettiva è di un sistema che va riformato. Il Governo non ha intenzione di dimenticare». La pandemia, ricorda Cartabia, «ha fatto da detonatore a questioni antiche» che affliggono gli istituti di pena. Per risolverle, a partire dall'annoso «sovraffollamento», non basterà soltanto migliorare le «strutture materiali e la formazione», ma bisognerà intervenire anche sul «piano normativo». Parole che evocano la necessità di «far voltar pagina al mondo del carcere» attraverso una riforma complessiva capace di affiancare alle pene detentive anche «forme di punizione diverse dal carcere come i lavori di pubblica utilità». Insomma una riforma profonda e integrale del sistema carcerario perché insiste il Guardasigilli «la vita di tutti i giorni all'interno dei 190 istituti penitenziari italiani reclama da parte nostra anche risposte immediate e indifferibili». Ma per farlo «servono più fondi e più impegno nella formazione permanente», in particolare per la «polizia penitenziaria che deve accompagnare il detenuto nel percorso di rieducazione». Anche qui la Cartabia si muove su un doppio binario. Per ridare dignità ai detenuti, fa capire il Guardasigilli bisogna restituire dignità anche alle guardie ristrutturando e adeguando un corpo di Polizia Penitenziaria segnato dalla mancanza di fondi, di addestramento e di precise gerarchie.
Ma se il simbolismo della visita di ieri viaggia in due direzioni allora anche l'individuazione, l'allontanamento e l'incriminazione delle «mele marce» presenti tra gli oltre 40mila effettivi polizia penitenziaria deve essere accompagnata da una svolta politica. Una svolta politica che parta innanzitutto dalla cancellazione dei dogmi a 5 stelle. I dogmi tanto cari ad un ministro Bonafede pronto, a suo tempo, a dichiarare in diretta tv che «un innocente non va mai in prigione». Con i 5 Stelle alla Giustizia quella bestialità giuridica è diventata sistema di potere. Se, per quasi un anno, nessuno al ministero di via Arenula si è preso cura di comprendere cosa fosse successo a Santa Maria di Capua Vetere e in tante altri istituti la responsabilità, fanno implicitamente intendere Draghi e la Cartabia, non può essere solo delle guardie penitenziarie e dei loro dirigenti. Quel «buco nero» è inevitabilmente figlio della perniciosa cultura colpevolista insediatasi ai vertici della Giustizia. Una cultura che Draghi e la Cartabia, consapevoli dei danni subiti non solo dai carcerati, ma dall'intero sistema sono decisi ad estirpare. Il primo affondo l'hanno inferto una settimana fa affossando i tentativi dei 5 Stelle di bloccare gli emendamenti apportati dalla Cartabia alla riforma della giustizia firmata, in precedenza, da Bonafede.
Emendamenti che hanno annullato l'ideologia grillina dei «processi senza fine» cancellando quello stop alla prescrizione che ne rappresentava l'inaccettabile totem. Strappare le carceri ad un giustizialismo tramutatosi in abbandono sarà il secondo indispensabile passo.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.