Dato che «i calciatori sono giovani e atletici, il rischio di morire se colpiti dal virus è infinitamente ridotto». Ieri ai microfoni di Rádio Guaíba il presidente del Brasile, Jair Messias Bolsonaro, è tornato a fare il «medico». Lo ha fatto non a caso ad un'emittente del gruppo mediatico Record - che a differenza di quello della Globo non gli è contraria una radio molto ascoltata a Porto Alegre, nel Rio Grande do Sul, stato meridionale del Paese del samba dove in questo momento di quarantena al popolo mancano molto le partite del Gremio e dell'Internacional, le due squadre più blasonate della regione. «Un conto è stare chiusi in casa guardando telenovelas, altro tornando a gustarsi il futebol», spiega a Il Giornale, Mario Silva, un sessantenne gaucho «soprattutto per noi pensionati di una certa età di questa regione del Brasile, quella con il maggior numero di anziani». Insomma, certo c'è il coronavirus - che nelle prossime ore supererà quota 30mila morti in Brasile dove, nella parte meridionale del Paese, il picco è atteso a luglio - ma non interessa a un presidente che ha sempre privilegiato la riattivazione dell'economia al distanziamento sociale imposto dal Covid 19. Per questo «non sorprende vedere Bolsonaro difendere la ripresa del campionato», spiega Mauro Cézar Pereira, telecronista del canale sportivo Espn Brasile.
Come ogni domenica, del resto, anche ieri Bolsonaro è tornato ad abbracciare i suoi supporter intorno al palazzo presidenziale di Brasilia, questa volta però lo ha fatto senza giornalisti al seguito. Il Mito o la Leggenda - così lo chiamano i suoi supporter - non autorizza più a seguirlo reporter di tv e giornali con cui è in guerra, né a fargli domande durante questi suoi anarchici bagni di folla. «A me interessa parlare con il popolo, non con questa stampa che diffonde solo fake news», ha borbottato Bolsonaro durante il suo ennesimo show domenicale mentre si caricava sulle spalle un bambino con la mamma dell'inconsapevole pupo ad immortalare il «momento storico» con il suo cellulare.
«Pane e circo», lo chiamavano così gli antichi romani e il compito del buon Imperatore era garantire al popolo il divertimento con spettacoli anche cruenti, basti pensare a Spartaco, e per questo all'epoca si costruirono «grandi opere», su tutte il Colosseo. Duemila anni dopo il concetto è lo stesso, anche se al posto delle lotte all'ultimo sangue tra gladiatori e belve feroci adesso c'è, almeno qui in Brasile, il futebol e i calciatori. In quanto al pane, Bolsonaro per adesso i soldi li sta dando e ieri ha annunciato una quarta tranche di sussidio da 600 reais per tutti.
Nonostante la pandemia di Covid-19 il presidente chiede dunque a gran voce la ripresa del campionato di calcio nel suo Paese. A marzo, il «capitano»- lo chiamano così i suoi supporter-aveva già detto che avrebbe avuto una «piccola influenza» se fosse stato contagiato, grazie al suo fisico atletico. Ora torna alla carica per far riprendere i campionati. Tutti, non solo la serie A, perché «la disoccupazione bussa alla porta dei club» e «i giocatori devono sopravvivere. Se una minoranza guadagna una fortuna -ha infatti aggiunto Bolsonaro- la maggior parte dei calciatori vive con contratti precari e mal pagati e deve poter tornare a giocare per nutrire la famiglia».
Tutto bene? No, ieri
nel centro di San Paolo, i tifosi delle principali squadre della metropoli contrari al presidente sono venuti alle mani con un gruppo di supporter di Bolsonaro. Solo l'intervento della polizia è riuscito ad evitare morti.
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