Il primo biennio del governo Meloni si è concluso con progressi significativi in un settore complesso del sistema economico italiano come quello del mercato del lavoro. Negli ultimi due anni, infatti, l'Italia ha registrato un significativo aumento dell'occupazione, con la creazione di 847mila nuovi posti di lavoro ( 672mila dipendenti e 175mila autonomi). Il dato, messo in evidenza da un report dell'Ufficio studi della Cgia di Mestre, dimostra che l'eliminazione di sussidi «eticamente dannosi» come il reddito di cittadinanza non ha creato caos, ma ha indotto chi poteva lavorare a mettersi all'opera.
La crescita occupazionale è trainata da un aumento dei contratti a tempo indeterminato, con 937mila unità in più. Parallelamente, i contratti a termine sono diminuiti di 266mila, riducendo l'incidenza del lavoro flessibile al 14,4%, due punti percentuali in meno rispetto a ottobre 2022. Anche il numero di disoccupati e inattivi è in calo: i disoccupati sono diminuiti a 1.473.000 (-496mila), mentre gli inattivi, ovvero coloro che non hanno un lavoro né lo cercano, sono scesi a 12.538.000 (-198mila).
Un altro aspetto rilevante è la crescente partecipazione femminile al mercato del lavoro. Delle 847mila nuove posizioni, quasi la metà (420mila) è stata occupata da donne. Inoltre, la riduzione della disoccupazione ha interessato maggiormente le donne (-274mila rispetto ai -223mila uomini). In termini assoluti, il numero di donne occupate ha raggiunto quota 10milioni, un segnale incoraggiante per il superamento del divario di genere nel lavoro. Nonostante questi progressi, l'Italia rimane fanalino di coda in Europa per il tasso di occupazione femminile, che si attesta al 53,6% (+2 punti). Tuttavia, il tasso di disoccupazione femminile è sceso al 6,3%, confermando la tendenza positiva a una sua progressiva diminuzione.
Gran parte dei nuovi posti di lavoro (83,8%, pari a 710mila unità) è stata occupata da persone con più di 50 anni. Questo dato riflette non solo l'invecchiamento della popolazione lavorativa, ma anche una maggiore valorizzazione dell'esperienza da parte delle imprese, spesso in cerca di affidabilità e competenze consolidate. Al contrario, la fascia d'età tra i 35 e i 49 anni ha registrato un calo di 66mila occupati, un trend che mette in evidenza non solo le sfide demografiche, ma anche quelle relative al reskilling (acquisizione di nuove competenze) e all'upskilling (formazione di conoscenze più approfondite nel proprio ambito) dei lavoratori.
Il Mezzogiorno si è rivelato il motore principale dell'incremento occupazionale, con 350mila nuovi posti di lavoro negli ultimi due anni. Regioni come la Sicilia (+133.600 posti, pari al 10% di crescita), la Campania e la Puglia hanno guidato questa espansione, grazie a un mix di investimenti pubblici legati al Pnrr, crescita delle costruzioni e miglioramento delle esportazioni. Anche la riduzione della disoccupazione è stata più marcata al Sud, con la Sicilia e la Puglia che hanno registrato i maggiori cali, rispettivamente -36.800 e -35.600 disoccupati.
Nonostante gli ottimi risultati, permangono alcune ombre. Nel 2024, le ore di cassa integrazione autorizzate hanno mostrato un andamento instabile, con un picco di 48 milioni a gennaio e una ripresa significativa a settembre (43,6 milioni) con una media generalmente più elevata rispetto all'anno scorso. In particolare, a partire da febbraio di quest'anno sia il Nord Ovest che il Nord Est presentano un monte ore autorizzato superiore alle altre due circoscrizioni. Analogamente rilevante è il basso incremento della produttività, specialmente nei servizi, che limita l'aumento dei salari italiani, inferiori alla media europea.
Ecco perché, conclude la Cgia, è fondamentale la messa a terra entro il 2026 dei 130 miliardi di euro del Pnrr ancora disponibili per evitare eventuali crisi determinate dalle contingenti difficoltà di Germania e Francia.
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