Un boomerang per l'occupazione

Nella migliore delle ipotesi, la volontà dell'Unione di fissare obbligatoriamente in ogni Paese un salario minimo risulterà del tutto inutile, ma nella peggiore (ed è il caso più probabile) avrà conseguenze assai dannose

Un boomerang per l'occupazione

Nella migliore delle ipotesi, la volontà dell'Unione di fissare obbligatoriamente in ogni Paese un salario minimo risulterà del tutto inutile, ma nella peggiore (ed è il caso più probabile) avrà conseguenze assai dannose. Molto dipenderà dal livello che sarà fissato in Italia, ma è già significativo che in Bulgaria il salario minimo mensile sia di 332 euro e in Lussemburgo di 2.257 euro. Se fosse sensato un salario minimo uguale per tutti a livello nazionale, perché non pure a livello europeo?

Sul piano giuridico questa idea muove da un'illusione nefasta e cioè dalla convinzione che una norma da sé possa ignorare la realtà, modificandola a proprio piacere. I legislatori, però, sono incapaci di compiere miracoli. Come ironizzò Bruno Leoni citando Shakespeare, nessun editto regale può far sì che in ogni pentola ci sia un pollo se il numero delle pentole è superiore a quello dei pennuti. Fuor di metafora, è la realtà economica e la produttività che, grazie all'incontro tra offerta e domanda, fanno emergere i salari corretti. Questo già aiuta a comprendere l'errore di ordine economico, dalle ricadute nefaste, conseguente all'imposizione di retribuzioni troppo alte. Ne può solo discendere, infatti, che lavoratori a bassa produttività si trovino disoccupati o finiscano in mano a organizzazioni malavitose. Non si parla di qualcosa di ipotetico. L'America stessa sperimenta tutto ciò da decenni, dato che a ogni innalzamento del salario minimo corrisponde un incremento della disoccupazione proprio tra i gruppi più deboli: tra quanti sono arrivati negli Usa di recente oppure sono giovani e non qualificati.

Una legge non basta a migliorare le condizioni dei più deboli. Invece che adottare queste logiche populiste, quanti ci governano dovrebbero intervenire sul cuneo fiscale (il prelievo tributario e previdenziale), alzando i salari reali grazie a un ritrarsi della spesa pubblica. Questo, però, è esattamente ciò che molti politici non vogliono affatto. Il vero conflitto, allora, non è tra imprese e lavoratori, ma tra chi produce e vuole vivere del suo e quanti, invece, controllano la ricchezza generata da altri. Per giunta, se saremo obbligati a seguire questa strada, a pagare il prezzo più alto una volta di più sarà il Meridione. Già ora l'economia del Sud patisce contratti nazionali inadeguati alla produttività locale e che quindi generano, al tempo stesso, un'alta disoccupazione e una massiccia diffusione del lavoro nero. L'introduzione del minimo salariale aggraverebbe una situazione già compromessa.

Il guaio di fondo è che ormai si è persa la consapevolezza che bisogna riconoscere a tutti la facoltà di contrattare liberamente: senza imporre alcunché

e inibire liberi accordi. Al tempo stesso, manca nei più la consapevolezza del ruolo che i prezzi devono giocare, affinché ogni attore economico (imprenditore, lavoratore, consumatore) possa agire nel modo più razionale.

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