"Botte in carcere, a giudizio agenti e funzionari"

Richiesta di processo per 108 indagati. Contestati anche la tortura e l'omicidio

"Botte in carcere, a giudizio agenti e funzionari"

Scene bruttissime. Un video che fece il giro del mondo. Dando un'immagine distorta del regime carcerario italiane. Che non sarà certo perfetto, ma di sicuro non è degradato come le sequenze immortalate dalle telecamere di sicurezza farebbero credere. Eppure le violenze nella casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) da parte degli agenti di custodia ai danni di detenuti inermi avvennero realmente.

Tutto ripreso in diretta: pugni, schiaffi, calci e manganellate contro uomini che - proprio per il loro status di soggetti privi di libertà - dovrebbero essere maggiormente tutelati dallo Stato. Invece, negli atti dell'inchiesta che ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio per 108 tra agenti e funzionari dell'amministrazione penitenziaria, le persone in divisa sembrano scendere sullo stesso piano dei delinquenti; una sorta di «assimilazione» criminale tra «buoni» e «cattivi» che un Paese civile non può accettare. Di qui la decisione della Procura di Santa Maria Capua Vetere di chiedere il processo per i responsabili del pestaggio.

Ma che cosa accadde in quel nefasto 6 aprile di due anni fa nel carcere sammaritano? Nei giorni precedenti si erano verificati disordini e gli agenti penitenziari avevano dovuto subire le conseguenze di una protesta degenerata in atteggiamenti aggressivi da parte dei detenuti.

Ristabilito l'ordine, la cosa però non era finita lì. Gli agenti, con l'avallo dei loro superiori, optano per la «legge del taglione». Anche se poi la vendetta finirà per colpire i detenuti più «deboli», escludendo quelli più «forti» (mafiosi e camorristi). Insomma, una scelta non solo inconcepibile sul piano legale, ma pure vigliacca su quello umano. Ma tant'è. Il regolamento di conti viene eseguito con ferocia. Gli artefici della rappresaglia si ritengono intoccabili, convinti che non verranno mai scoperti. Errore fatale. I video, nel luglio 2021, finiscono sul web e da qui nei telegiornali. Gli agenti si giustificano: «Eravamo stressati»; i loro capi tentano lo scaricabarile. Ma lo scandalo è troppo grave per arrestarsi. Scendono in campo le massime istituzioni dello Stato che chiedono che «i colpevoli paghino presto e duramente». Il resto è storia di ieri.

Oltre a decine di agenti, tra gli alti funzionari che rischiano il processo (il gip deciderà sul rinvio a giudizio il 15 dicembre) figurano Pasquale Colucci, comandante del Nucleo operativo traduzioni e piantonamenti del penitenziario di Secondigliano (ai domiciliari); l'ex capo delle carceri campane, Antonio Fullone (interdetto dal servizio); Tiziana Perillo, comandante del Nucleo operativo traduzioni e piantonamenti di Avellino; Nunzia Di Donato, comandante del Nucleo operativo traduzioni e piantonamenti di Santa Maria Capua Vetere; Anna Rita Costanzo, commissario capo responsabile del reparto Nilo (ai domiciliari); l'ex comandante della polizia penitenziaria del carcere di Santa Maria Capua Vetere, Gaetano Manganelli (ai domiciliari).

Tra i reati contestati: tortura, lesioni, abuso di autorità, falso in atto pubblico e cooperazione nell'omicidio colposo di un detenuto algerino.

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