
Un braccialetto elettronico per monitorare chi fa richiesta di protezione internazionale ed è obbligato a rimanere nell'area geografica su cui insiste la commissione territoriale che deve riconoscergli il diritto d'asilo o chi ha l'obbligo di dimora presso un centro di accoglienza o strutture di enti privati. È la soluzione a cui pensa l'Europa per evitare la detenzione nei Cpr (voluti dalla sinistra e diventati galere a cielo aperto), scongiurando al tempo stesso il rischio che il migrante che non ha diritto a stare in Italia faccia perdere le sue tracce e sfugga al decreto di espulsione.
La proposta sarebbe contenuta in un emendamento del governo alla legge di delegazione europea all'esame del Senato approntato dagli uffici legislativi del Viminale, come anticipato ieri dal Messaggero. L'idea di applicare un «monitoraggio elettronico» agli stranieri che arrivano nel nostro Paese non è nuova, anzi è già stata applicata in diversi Paesi. Nel Regno Unito, il tagging della caviglia è stato utilizzato per controllare gli stranieri a rischio di deportazione, anche se secondo Amnesty International e altre Ong questi «monitoraggi elettronici» violerebbero la privacy e sarebbero discriminatori «sulla base della provenienza, dell'etnia e dello status di cittadinanza».
Ma è l'Europa a chiederlo, tanto che in molti Paesi Ue come Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Norvegia e Regno Unito è possibile anche la confisca dei cellulari dei richiedenti asilo per verificare le loro testimonianze durante l'elaborazione dei loro casi di asilo. Il braccialetto elettronico sarebbe una buona idea, fanno sapere delle fonti giudiziarie, e avrebbe certamente un effetto deterrenza su chi fa un uso strumentale della richiesta di asilo e poi sparisce nel nulla una volta arrivato in Italia. È prevista dalla direttiva Ue sull'accoglienza approvata nel maggio del 2024, che secondo le anticipazioni del quotidiano romano apre all'ipotesi «di prevedere anche particolari modalità di controllo dei richiedenti protezione internazionale».
Appena prima dell'estate il Viminale, secondo quanto risulta al Giornale, avrebbe fatto richiesta per avere 100mila braccialetti elettronici monouso (già sperimentati nel 2011 dall'esecutivo allora guidato da Silvio Berlusconi) ordinati attraverso un atto del «Dipartimento della pubblica sicurezza Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere» pubblicato il 19 giugno e pagati dal Fondo di Rotazione istituito presso il ministero dell'Economia e delle Finanze, in vista di un possibile trimestre caldo sulle coste italiane che non si è verificato grazie alla stretta sulle Ong e agli accordi con i Paesi del Nord Africa. Il Giornale non è riuscito a sapere a che punto è la procedura di affidamento diretto tramite mercato elettronico della Pubblica Amministrazione: «Il prezzo a base di gara stimato è quantificato in 6mila euro (oltre Iva e comprensivo di trasporto e consegna in loco)», ci dice una fonte del Viminale.
Tra le novità previste dalla direttiva Ue c'è anche l'ipotesi che i richiedenti asilo possano rimborsare lo Stato italiano per il costo dell'accoglienza sostenuto: «Gli Stati membri possono esigere che i richiedenti in possesso di mezzi sufficienti sostengano o rimborsino i costi dell'accoglienza o dell'assistenza sanitaria ricevuta, anche attraverso garanzie finanziarie». Ma su quali richiedenti asilo penderebbero queste ipotesi? Su chi effettivamente ha le risorse per farlo. Chi, per esempio, ha lavorato in Italia senza permesso di soggiorno e ha fatto domanda per ottenere l'asilo per guadagnare tempo fino al definitivo decreto d'espulsione, pur sapendo di non averne diritto.
Sullo sfondo resta l'allarme del Copasir su una possibile bomba migratoria, anticipato dal
Giornale a metà gennaio dopo la fiammata di arrivi dalla Libia (+180% in una settimana) legata all'arresto del criminale di guerra Almasri e alla perdita del controllo del porto di Zuwara da parte delle autorità libiche.
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