È di prima mattina che la prudenza della diplomazia lascia spazio a una decisa accelerazione.
Le notizie sulle condizioni in cui è detenuta Cecilia Sala sono infatti più che preoccupanti e, soprattutto, fanno a pugni con le rassicurazioni fornite in questi giorni alla Farnesina dal governo di Teheran. In due telefonate con i genitori e il compagno, la giornalista del Foglio e Chora Media - arrestata in Iran lo scorso 19 dicembre senza che ancora sia stato formalizzato un reale capo d'accusa - racconta infatti un durissimo isolamento, fatto di privazioni che vanno dal dormire al gelo e per terra fino alla luce al neon accesa giorno e notte. E per come gestisce le informazioni e le detenzioni il regime iraniano, il fatto che Sala abbia avuto la possibilità di contattare i suoi familiari e parlare liberamente delle condizioni in cui si trova non è certo un caso, ma - evidentemente - un messaggio che Teheran vuole recapitare all'Italia. Il cui sottotesto è che è l'Iran è pronto ad alzare ulteriormente la tensione pur di riuscire a scambiare la liberazione di Sala con quella di Mohammad Abedini Najafabadi, l'ingegnere svizzero-iraniano arrestato in Italia il 16 dicembre su mandato degli Stati Uniti (che ne chiedono l'estradizione in quanto affiliato ai Pasdaran di Teheran). Il timing, d'altra parte, non lascia dubbi, visto che l'arresto di Sala arriva tre giorni dopo quello di Abedini a Milano.
La giornalista italiana, insomma, è ostaggio di una guerra diplomatica e geopolitica che coinvolge in prima battuta Teheran e Washington. E che l'Italia deve necessariamente gestire d'intesa con gli Stati Uniti ma pure con l'Unione europea.
A Palazzo Chigi si decide per una reazione risoluta, mettendo da parte la discrezione che solitamente accompagna le trattative della diplomazia e dell'intelligence in occasioni come queste. In tarda mattinata, infatti, il ministro degli Esteri Antonio Tajani convoca alla Farnesina l'ambasciatore iraniano a Roma, Mohammad Reza Sabouri. Non proprio un incontro distensivo, tanto che a tenerlo è il segretario generale della Farnesina Riccardo Guariglia. Con l'ambasciata di Teheran in Italia che sui social si fa quasi beffe della crisi in corso. Non solo definisce l'incontro «amichevole», ma chiede esplicitamente la liberazione di Abedini, confermando - se mai ce ne fosse stato bisogno - che quello di Sala è un arresto di «rappresaglia».
Mentre l'Alto rappresentante per la politica estera Ue, Kaja Kallas, chiede «l'immediata liberazione» di Sala perché «il giornalismo non è un reato», Giorgia Meloni convoca un vertice a Palazzo Chigi. Una riunione di quasi un'ora a cui partecipano Tajani, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e il consigliere diplomatico della premier Fabrizio Saggio. Un incontro - fa sapere una nota del governo - nel quale si ribadisce «l'impegno presso le autorità iraniane per l'immediata liberazione di Cecilia Sala» e comunque «per un trattamento rispettoso della dignità umana». Un comunicato in cui Palazzo Chigi parla anche di Abedini. Spiegando che «a tutti i detenuti è garantita parità di trattamento nel rispetto delle leggi italiane». E, di fatto, confermando che le due questioni sono strettamente collegate. Circostanza che complica la trattativa anche alla luce del fatto che alla Casa Bianca è in corso un delicato passaggio di consegne, con Donald Trump che entrerà formalmente in carica di 20 gennaio. Insomma, qualsiasi mossa che coinvolga Abedini (ieri la procura di Milano ha dato parere negativo per i domiciliari) dovrà essere concordata non solo con l'amministrazione uscente, ma pure con la nuova.
Poi, una risposta alle opposizioni - da Matteo Renzi al Pd, passando per +Europa - che a più voci chiedono di capire la strategia italiana. La presidenza del Consiglio fa infatti sapere che c'è la «disponibilità immediata» di Mantovano a riferire al Copasir anche nelle prossime ore.
Al termine del
vertice, Meloni telefona poi al padre di Cecilia Sala e riceve a Palazzo Chigi la madre, Elisabetta Vernoni. E le assicura che sarà «fatto di tutto» per riportare la figlia in Italia. «Non mi chieda come, ma ce la faremo».
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