Londra La crisi è iniziata alla fine di una domenica convulsa, dopo gli ultimi tentativi di mediazione. David Davis, il negoziatore britannico della Brexit se n'è andato come Cenerentola, allo scoccare della mezzanotte. Con lui anche il sottosegretario per Brexit, Steve Baker, infine nel pomeriggio di ieri ha lasciato anche il ministro degli Esteri Boris Johnson, il «volto» conservatore dei Leavers, che dice: «Il sogno della Brexit sta morendo». Nel dimettersi Baker ha criticato duramente la decisione presa nel recente meeting di Chequers convocato dal primo ministro Theresa May. «Siamo stati tutti colti di sorpresa dalla proposta che è poi stata concordata» ha dichiarato, facendo sapere alla stampa che lui e il suo team stavano preparando un documento che non corrispondeva per nulla a quanto è stato presentato ai ministri nella residenza di campagna ufficiale della premier. Più laconico Davis che, secondo alcune indiscrezioni di stampa, proprio durante il meeting si sarebbe mantenuto di poche parole e distante, quasi già non si sentisse più della partita. Ai giornalisti Davis ha diplomaticamente spiegato che non poteva più rimanere al suo posto perché non crede più nel piano che delinea la futura relazione tra il Regno Unito e l'Unione Europea.
Mentre inaspettatamente la sterlina guadagnava qualche punto di vantaggio grazie alle sue dimissioni per poi scendere dopo l'uscita di Johnson - Davis spiegava alla Bbc di aver battagliato per due anni con Bruxelles cedendo a parecchi compromessi, ma adesso ci si era spinti oltre al limite. «Mi preoccupano i dettagli finali e che le cose non vadano come avevamo sperato» ha concluso sottolineando che in nessuno modo il suo passo indietro va visto come manovra per mettere in difficoltà Theresa May che «è stata un buon primo ministro e non va rimpiazzata soprattutto adesso».
Lei a farsi da parte comunque non ci pensa anzi, è probabile che abbia volutamente provocato le dimissioni di Davis che sembrava essere mal sopportato soprattutto a Bruxelles. Pare infatti che in questi due anni, i colloqui con il collega Michel Barnier non siano stati prolungati e che in tutto i due non si siano parlati per più di quattro ore. Il terzo ad abbandonare è stato il personaggio più importante e l'ostacolo interno più ingombrante per il governo May, quel Boris Johnson che ha guidato la campagna referendaria anti-europea e che da sempre era contrario a una soft Brexit. La notizia delle sue dimissioni è giunta proprio mentre May illustrava alle Camere la nuova proposta che verrà presentata a Bruxelles e ha suscitato il malcontento dei numerosi Brexiteers del suo partito, non solo per la vaghezza di alcuni punti, ma anche perché, almeno a una prima lettura, l'uscita dall'Europa in base a questo piano si rivela un divorzio di nome, ma non di fatto, capace di scontentare entrambe le parti.
La commissione europea ancora non si è pronunciata sulle nuove linee concordate a Chequers e aspetta di leggere il testo finale. Ma le dimissioni di Mr Davis e compagnia «non sono un problema», fa sapere il presidente Juncker dato che la commissione «continuerà a lavorare con buona volontà insieme alla premier May e ai negoziatori del Regno Unito». Diverso invece il commento del presidente del Consiglio Ue Donald Tusk: «I politici vanno e vengono ma i problemi che hanno creato per le persone restano. Posso solo rammaricarmi che l'idea della Brexit non sia andata via con Davis e Johnson. Ma...chi lo sa?».
Al posto di Davis è stato nominato Dominic Raab, ex ministro per l'edilizia abitativa e leaver moderato. Ringrazia invece per l'insperato assist governativo il leader laburista Corbyn che è tornato alla carica sottolineando il fallimento del governo.
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