Dopo l'Irlanda, Gibilterra. E poi altre due spine nel fianco: la data di scadenza del periodo di transizione e i soldi che eventualmente Londra dovrà alla Ue. Mancano cinque giorni al fatidico 25 novembre, data in cui Regno Unito e Unione Europea sigleranno a Bruxelles l'accordo formale sulla Brexit, durante il vertice straordinario convocato ad hoc per domenica. La premier Theresa May viaggia verso l'obiettivo con grande ostinazione ma lungo una strada ancora costellata di ostacoli, a partire dalla dichiarazione politica finale sulle relazioni future tra Regno Unito e Ue. Il documento, che traccerà la via per giungere a un accordo commerciale, dovrebbe essere finalizzato già oggi, dopo il via libera alla bozza tecnica di intesa ricevuto ieri dai 27 membri. Ed è diventato in queste ore il nuovo pomo della discordia, in attesa della trincea del voto parlamentare a Londra.
L'ultimo impedimento riguarda la Spagna e il nodo Gibilterra, il territorio d'Oltremare britannico (ceduto da Madrid a Londra nel 1713), la cui sovranità è oggetto di contesa con Madrid, e che ha votato al 95,9% contro la Brexit nel 2016. Sulla «Rocca», una sorta di piccola Svizzera interdipendente con l'Andalusia che la circonda (oltre 700 milioni di euro di scambi), Regno Unito e Spagna hanno già raggiunto un accordo. Si tratta di uno speciale protocollo sulle future relazioni, in cui si dice che lo status di Gibilterra sarà deciso definitivamente nel periodo di transizione di 21 mesi successivo all'uscita del Regno Unito nel marzo del 2019. Ed eccoci al dunque: Madrid vuole ora che sia chiaro che «quanto negoziato tra Londra e Bruxelles non riguardi Gibilterra. Le trattative sul futuro di Gibilterra fanno parte di discussioni separate», ha detto ieri Josep Borrel, ministro degli Esteri spagnolo. Madrid chiede che il principio sia messo nero su bianco nella dichiarazione politica e lascia anche intendere che la questione potrebbe essere di ostacolo alla firma finale dell'intesa, per cui serve la maggioranza qualificata. «Non userei la parola veto - ha detto Borrel - ma fino a quando non conosciamo la dichiarazione politica non sapremo se siamo d'accordo del tutto». Dal canto suo, Downing Street è stata netta: «Gibilterra non verrà esclusa dall'intesa». Un altro scoglio in vista della firma di domenica e del viaggio della premier a Bruxelles, la cui data non è stata fissata perché le trattative restano «intense».
Nonostante abbia evitato la rivolta degli industriali, a cui si è rivolta durante l'assemblea annuale e che le hanno chiesto di rivedere la politica di immigrazione post-Brexit, Theresa May deve ancora fronteggiare le ire dei Brexiteers, che non digeriscono l'eventualità di un'estensione del periodo di transizione (in cui saranno mantenute le condizioni commerciali con l'Ue) a oltre il 2020, fino al 2022, come offerto da Bruxelles.
Se così fosse, Londra dovrebbe continuare a contribuire al bilancio e aggiungere ai 39 miliardi di sterline che già deve alla Ue altri 10 o 15 miliardi (12-18 miliardi di euro). Benzina sul fuoco di chi non vuole l'accordo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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