Londra. Uno stallo alla messicana, dove il Regno Unito, la Commissione Europea e alcuni Stati membri in special modo la Francia si tengono sotto tiro a vicenda, nessuno disposto a cedere. Il tutto mentre non si vede la luce alla fine del tunnel delle negoziazioni tra Londra e l'Ue per definire la relazione economica dopo il 31 dicembre 2020. Mancano 25 giorni.
Nella serata di ieri il primo ministro inglese Johnson e la presidente della Commissione von der Leyen si sono parlati al telefono per cercare di risolvere l'impasse: rimangono significative differenze su concorrenza, governance e pesca, senza superare le quali non si può giungere a un accordo. Concordiamo che sia necessario uno sforzo ulteriore, per cui i capi negoziatori si incontreranno di nuovo oggi a Bruxelles. Mentre noi parleremo di nuovo lunedì sera: questo il contenuto di un comunicato stampa congiunto rilasciato a margine della telefonata. Tuttavia, a meno che Johnson e von der Leyen non diano istruzioni diverse ai loro negoziatori, lunedì sera ci sarà ancora da commentare lo stallo di una situazione sempre più a rischio. La settimana, iniziata con un cauto ottimismo da entrambe le parti, quando trapelavano sussurri di un possibile, imminente accordo, ha virato poi verso il brutto con la Francia che decide di puntare i piedi: «Se un buon accordo non può essere raggiunto - dichiara il ministro per gli affari europei, Clement Beaune - ci opporremo. Ogni Paese ha il diritto di voto». Lo stesso primo ministro transalpino, Jean Castex, in visita alle comunità di pescatori del nord, parla della possibilità di usare il veto. Nel mirino di Parigi c'è un accordo al ribasso, sponsorizzato dalla Commissione e dalla Germania che vuole limitare i danni per gli esportatori tedeschi un accordo che parrebbe concedere troppo agli inglesi. Il rischio di un'Europa in ordine sparso è alto, minacciare il veto per preservare l'interesse nazionale non è logicamente dissimile dalle posizioni ungherese e polacca sul recovery fund.
Ammonito a non calare ulteriormente le brache, con molte capitali europee che chiedono ora di vedere in anticipo la bozza di accordo prima che la Commissione la sottoscriva segno, quantomeno, di poca fiducia - Barnier saluta venerdì la sua controparte inglese, Frost, dopo interminabili giornate di negoziati. La parola passa ai nostri Principal, dichiarano entrambi all'unanimità. Dove i tecnici non possono arrivare, per via di un mandato limitato e insormontabile, è chiamata ad arrivare la politica. Che però, ancora una volta ieri sera, decide di rimandare la decisione. L'obiettivo è ora un accordo entro i primi giorni della prossima settimana, prima del Consiglio Europeo del 10-11 dicembre. Nei tre ambiti di divergenza le distanze rimangono consistenti: sulla pesca l'Ue concede una riduzione delle proprie quote del 18% con un accordo di 10 anni, una proposta inaccettabile per Londra. Che rifiuta anche la proposta di un organo indipendente che possa bloccare gli aiuti economici alle aziende inglesi prima che gli stessi vengano erogati dal governo.
Uno stallo acuito dal farsi strada di un terzo possibile risultato delle negoziazioni.
In alcune capitali europei si valuta di procedere verso un no deal per forzare Londra ad assaporarne le conseguenze economiche e tornare poi al tavolo da una posizione nettamente più debole. Una strategia che però significherebbe la caduta del governo Johnson che si regge anche sull'appoggio di una forte ala antieuropea. E che, dopo il 31 dicembre, non tornerà a rinegoziare con Bruxelles.
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