La professoressa del presidente impugna la penna rossa. E nel friabile dibattito sui generi «fluidi», Brigitte Macron la usa come un piccone per abbattere l'ipocrisia del vocabolario politicamente corretto; che a Parigi sta prendendo piede tanto nella pubblica amministrazione quanto nelle università d'élite. Infatti, dalla Sorbona al Comune della capitale francese, i nomi su alcuni documenti vengono già declinati con genere neutro: per non offendere nessuno, si usa «iel», contrazione tra «il» ed «elle». Via maschile e femminile, con buona pace della letteratura d'Oltralpe.
Brigitte, première dame e soprattutto insegnante di liceo di Emmanuel Macron nella vita pre-Eliseo, non ci sta. E in un'intervista all'Obs boccia seccamente la cosiddetta «scrittura inclusiva», che dal 2012 viene venduta ai politici europei da agguerriti militanti Lgbtq come forma di diritto umano trasversale, fino ad essersi imposta anche in Francia. Invece, senza mezzi termini, la première dame dice di poter parlare a nome della «maggioranza silenziosa» dell'Esagono, quando afferma che nella lingua francese ci sono solo «due pronomi». Lui e lei. Maschile e femminile. Punto.
Non la pensa così il prestigioso vocabolario Robert, che nella versione on line ha aggiunto il controverso pronome neutro inventato per persone che non si riconoscono nel maschile o femminile. Apriti cielo. Brigitte si riscopre prof. E alza una diga contro l'ideologia «gender» entrando a gamba tesa in un dibattito scivoloso, su cui il governo avrebbe volentieri glissato. Critica il Robert, che ha introdotto «iel» anche nell'edizione cartacea 2023. E condanna soprattutto il genere neutro adottato da alcune amministrazioni locali e università (vedi Il Giornale del 6 dicembre con il caso Sciences-Po). E persino da alcune aziende, dove il vessillo ideologico issato da un certo management, a volte senza appello, ha disorientato i dipendenti.
Brigitte rispolvera le posizioni conservatrici già espresse dall'ex ministro dell'Istruzione Jean-Michel Blanquer, che sull'uso di «iel» si era indignato. L'Accademia di Francia bollò a sua volta la scelta del Robert come «trovata pubblicitaria». Blanquer è stato però sostituito dal mite Pap Ndiaye, più permeabile agli influssi della contemporaneità. E a difendere la lingua dal politically correct è rimasta Brigitte. «Imparare il francese è già difficile, non aggiungiamo complessità a complessità, è una posizione culturale», rivendica la première dame. Ndiaye è stato costretto ad assecondarla: «Con lei scambio regolarmente idee su molti argomenti...». Tanto è bastato per far insorgere i censori del libero pensiero. «Non è il suo ruolo, è come se andasse a dar consigli a un ingegnere nucleare», dice una fonte anonima del ministero, citata dall'Opinion. L'incursione della ex prof è infatti un'onda pronta a scuotere l'intero establishment francese.
Per ora, il neologismo «iel» resta nel dizionario, sommato alle altre parole legate all'identità di genere apparse negli ultimi anni: «Non binaire», «transgenre», «gender fluid». Persino sottocategorie: «Agenre» o il suo opposto «bigenre», cioè appartenente a entrambi i sessi contemporaneamente o in modo intermittente. Fino a «cisgenre», che per il Larousse definisce «una persona la cui identità corrisponde al sesso assegnato alla nascita». Brigitte non si allinea agli eccessi del lessico «gender». Da Palazzo inaugura una crociata culturale.
E chi usa il linguaggio come arma, e il ricatto come minaccia di scendere in piazza, si scontra per la prima volta con una première dame che pur nel rispetto delle identità blinda la lingua francese dalla «rivoluzione» delle neolingue.
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