Un brutto spot alla nostra giustizia

Il processo al figlio di Beppe Grillo (così viene chiamato in giro: il processo al figlio di Beppe Grillo) è un bignami del cattivo funzionamento della giustizia all'italiana: c'è tutto il peggio, a parte le derive della legislazione antimafia e qualche delirio di pm e giudici, i quali, anzi, sono apparsi tra i più normali di tutto il circo

Ciro Grillo
Ciro Grillo
00:00 00:00

Il processo al figlio di Beppe Grillo (così viene chiamato in giro: il processo al figlio di Beppe Grillo) è un bignami del cattivo funzionamento della giustizia all'italiana: c'è tutto il peggio, a parte le derive della legislazione antimafia e qualche delirio di pm e giudici, i quali, anzi, sono apparsi tra i più normali di tutto il circo. Seguono esempi.

1) I tempi del processo sono normalmente mostruosi. I fatti sono del luglio 2019 ma il rinvio a giudizio è stato disposto due anni e quattro mesi dopo, mentre ora, dopo sei anni, siamo ancora in primo grado e in alto mare. L'organico, a Tempio Pausania dove ha sede i processo, prevede un fabbisogno di sei sostituti procuratori, ma all'epoca dei fatti erano soltanto due. Una pm ha lasciato nel mezzo delle indagini ed è passata al tribunale dei Minori, a dispetto di 4.133 procedimenti incamerati nello stesso anno.

2) Solo all'undicesima udienza i consulenti informatici delle difese e delle parti civili hanno potuto depositare i loro dati (chat, foto, audio, video, messaggi) e ne è risultata una mole impressionante di 40 terabyte riversati nel fascicolo. Basti, per dare l'idea, che il più aggiornato Iphone contiene al massimo 1 terabyte di archiviazione.

Tutta roba che, in buona parte, era già stata riversata nel fascicolo mediatico chiamiamolo visto che giornali e soprattutto tv hanno iniziato e finito il processo prima ancora che effettivamente cominciasse.

3) È il processo a Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia, Vittorio Lauria e ovviamente Ciro Grillo, ma questi ragazzini (tali erano) resteranno marchiati indelebilmente comunque vada a finire: il tempo condizionale e gli aggettivi «presunta» e «presunto» davanti a sostantivi come «vittima» e «stupro» sono mediamente spariti dalla prassi giornalistica. Più fortunate le vittime (presunte) delle quali, per legge, non si possono pubblicare i nomi e le fotografie né altro che le renda riconoscibili: ovviamente quel «fortunate» è retorico, perché la pressione mediatica è divenuta tale (per motivi esterni al processo) che si può anche ipotizzare che tornando indietro le vittime (presunte) non denuncerebbero più.

4) I fatti sono del 16 luglio 2019, la denuncia è del 6 agosto e la notizia è rimasta nascosta per più di un mese: essendoci in ballo, ai tempi, la formazione di un governo, i dietrologi si sono scatenati, ergo colpevolisti e innocentisti si divisero in base ovviamente al tifo politico. Le accuse finali della Procura, sui giornali, sono uscite sei mesi prima che il giudice (gup) decidesse sul rinvio a giudizio.

Le oggettive difficoltà nel giudicare un processo per stupro (il consenso di lei non è l'unico punto, c'è anche da valutare l'eventuale alterazione della capacità di lei di difendersi, e l'eventuale alterazione della capacità dei ragazzi di mantenersi equilibrati in una condizione di predominanza fisica e numerica) e ogni legittimo e delicato dubbio, insomma, è stato eradicato in nome della superficialità dell'epoca (questa epoca) come pure è successo o potrebbe succedere con le accuse di stupro rivolte a un altro figliolo di un esponente della maggioranza di governo.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica