Alla fine, la contestata legge ungherese è entrata in vigore. Finora sono serviti a poco gli ultimatum di Bruxelles per spingere il premier Viktor Orbán a modificare la norma che proibisce alle istituzioni educative, film, programmi tv, pubblicità e libri rivolti a minori mostrino contenuti Lgbtiq. E neppure la sospensione del piano di ripresa e resilienza (Pnrr) per accedere al Recovery Fund (sono in ballo 7,2 miliardi di euro) ha piegato Budapest ai diktat di Bruxelles. Anche ieri la Commissione Ue ha ribadito che servirà più tempo per la valutazione del Pnrr ungherese. Sul piatto c'è anche un altro deterrente: la procedura d'infrazione. Ieri il Parlamento europeo (con il voto contrario di Lega e Fdi) ha approvato una risoluzione che «condanna con la massima fermezza» la legge ungherese e denuncia il deficit di democrazia e dello Stato di diritto, chiedendo una procedura d'infrazione urgente.
A Budapest, nel frattempo, diversi manifestanti sono scesi in piazza per difendere i diritti della comunità Lgbtiq. «Questa legge confonde i crimini contro i bambini con la comunità Lgbtiq in modo pernicioso e fuorviante», ha sostenuto Amnesty International. Ma né le pressioni della Ue né le proteste sembrano smuovere Orbán, il quale ha ribadito che lo scontro con Bruxelles riguarda chi debba decidere in merito all'educazione dei figli. Il premier ungherese, in visita a Belgrado, ha detto che il Parlamento europeo e la Commissione Ue vogliono consentire agli attivisti Lgbtiq di entrare nelle scuole e negli asili. «Non lasceremo che ciò accada». Orbán ha spiegato che il dibattito all'Europarlamento Ue è stato «utile», ma non vi ha partecipato perché «le posizioni sono totalmente chiare». Il leader di Budapest ha ripetuto che sull'educazione ai minori la Carta europea dei diritti fondamentali è molto chiara: essa spetta agli ungheresi, non «ai burocrati europei».
L'Ungheria, però, non è sola in questo confronto con Bruxelles. Alla Polonia (anche lei sorvegliata speciale) si è aggiunta la Repubblica Ceca. Il primo ministro, Andrej Babis, ha ribadito che non firmerà la dichiarazione di condanna della legge ungherese. Il documento era già stato sottoscritto due settimane fa da 17 capi di governo dei Paesi membri per esprimere sostegno alla comunità Lgbtiq. In quei giorni, il premier ceco aveva detto di non avere abbastanza informazioni per aderire alla dichiarazione, mentre ieri ha affermato che, dopo un'attenta analisi della legge ungherese, non ha alcuna intenzione di firmarla.
Le norme di Budapest sono oggetto di dibattito anche in Italia e vengono spesso usate dalla sinistra per attaccare la Lega e Fdi, definiti amici di Orbán perché vogliono modificare (assieme a Forza Italia e al partito di Renzi) il ddl Zan. Salvini, interpellato in merito, se n'è lavato le mani. «Ricordo che Ursula von Der Leyen è stata votata da Ungheria e Polonia. Se la risolvano fra di loro. Problema interno alla cosiddetta maggioranza Ursula», ha detto il leader della Lega. Il coordinatore di Forza Italia, Antonio Tajani, ha invece affermato che la legge ungherese «non va bene perché non va nella giusta direzione.
Bisognerà fare una istruttoria, ci dovrà essere confronto ma quella legge va modificata». «Detto questo ha aggiunto - non significa che la sinistra abbia ragione sul ddl Zan. Invece di fare norme ideologiche servono sanzioni durissime».
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