Un discorso gonfio di retorica che vorrebbe trasmettere forza e sicurezza, ma che tradisce invece la debolezza del Vladimir Putin di oggi. Il leader russo ha riunito al Cremlino il parterre delle grandi occasioni vertici politici, militari e istituzionali, affiancati dagli immancabili «plauditores» in ghingheri cari ai dittatori per annunciare quanto da giorni si attendeva: l'annessione ufficiale alla Federazione Russia di quattro nuove province, che altro non sono che quattro province dell'Ucraina conquistate (in realtà solo in parte, perché la guerra continua) in questi anni e mesi.
Erano presenti i quattro «governatori», in un'atmosfera mista di solennità e clima da stadio, sempre agli ordini del dittatore ieri in veste di maestro cerimoniere. Putin ha tenuto una lunga filippica contro l'Occidente, accusandolo di «guerra ibrida contro la Russia» ed esaltando i valori nazionali della tradizione per i quali vale la pena combattere, arrivando ad assicurare che in Russia non ci saranno mai «genitore 1 e genitore 2», quasi che avesse scatenato una guerra per questo. Poi ha definito i caduti in Ucraina «eroi della patria russa» e ha chiesto per loro un minuto di silenzio. Ha quindi alzato la voce scandendo «voglio che mi sentano a Kiev e in Occidente: le persone che vivono nel Lugansk, nel Donetsk, a Kherson e Zaporizhzhia diventano nostri cittadini per sempre», e questo perché ha spiegato con una delle sue più evidenti menzogne quei popoli «si sono espressi chiaramente attraverso dei referendum». Nessun cenno, ovviamente, al fatto che quelle consultazioni siano state perfettamente illegali e infatti non riconosciute dalla comunità internazionale perché condotte con la coercizione dalle forze di occupazione, portando al voto i recalcitranti col kalashnikov puntato e senza alcuna garanzia di privacy.
Questo a Putin non interessa. Gli interessa poter usare questi falsi risultati per poter minacciare l'Ucraina e l'Occidente che la sostiene anche militarmente. D'ora in avanti, ha ribadito il leader russo che lo scorso 24 febbraio ha ordinato l'invasione dell'Ucraina, ogni attacco a questi territori verrà equiparato a un attacco alla Russia stessa, con la conseguenza che Putin si riterrà libero di ordinare risposte militari senza limitazioni, fino a giungere all'eventuale ricorso all'arsenale atomico. A queste parole dure, ha fatto seguito il gesto di debolezza malamente mascherato: adesso siamo pronti a negoziare con Kiev ha detto Putin ma alle nostre condizioni. Zelensky deve fermare ogni azione aggressiva e rinunciare anche solo a discutere del futuro delle nuove province russe. Una mossa ampiamente prevedibile, perché figlia della grave crisi militare che l'esercito russo sta vivendo in Ucraina, e che ha costretto Putin alla mossa impopolare di ordinare la mobilitazione per resistere in attesa di una tregua.
Alla fine del suo discorso infervorato, il quasi settantenne dittatore (lo diventerà venerdì prossimo) ha sollecitato l'ovazione finale chiamando a sé i quattro Gauleiter (anche Hitler ne aveva nominato uno in Ucraina, ma era durato poco) e gridando con loro «Russia-Russia-Russia!» come allo stadio, per poi salutare applaudito dagli invitati. Svanita l'eco delle grida, però, viene il momento delle valutazioni. Cos'ha ottenuto ieri Putin da tanta retorica? Niente. Le forze ucraine non solo continuano a combattere in tutte e quattro le province annesse ignorando le minacce, ma addirittura conquistano Lyman, una città chiave del Donetsk che era caduta nella scorsa primavera. Volodymyr Zelensky respinge l'offerta di falso negoziato e dice due cose molto importanti: in futuro negozieremo con Mosca, ma non con Putin al Cremlino; e siccome oggi ci ha dimostrato che non c'è niente da negoziare con lui, varchiamo il Rubicone e chiediamo una corsia di adesione rapida alla Nato (con la quale peraltro c'è già un'alleanza di fatto).
Nelle stesse ore, Bruxelles affermava che le annessioni non saranno mai riconosciute, mentre il presidente americano Biden le definiva «fraudolente» e
annunciava nuove sanzioni a Mosca e solido sostegno futuro a Kiev. La guerra continuerà dunque come prima e la palla torna nel campo di Putin, sperando che mantenga un minimo di buon senso e rinunci a mosse inutilmente folli.
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