Roma. Un appello regale per salvare il villino. Era il 1966 quando Pasquale Papanice, imprenditore edile Tarantino, affidò al futuro archistar Paolo Portoghesi e all'ingegner Vittorio Gigliotti il compito di disegnare e realizzare la sua casa al quartiere Nomentano di Roma. Sorse così, in pochi anni, al civico 3 di via Marchi, «casa Papanice», capolavoro dell'architettura postmoderna, caratterizzata dalle canne d'organo e dalle maioliche che ne decorano l'esterno. Una costruzione la cui originalità colpì da subito non solo gli appassionati di architettura, ma anche gli amanti del grande schermo, visto che il villino venne utilizzato come set appena ultimato. Qui Ettore Scola girò nel 1970 la scena del suo «Dramma della Gelosia: tutti i particolari in cronaca», con Adelaide (Monica Vitti) e il ricco macellaio Ambleto Di Meo (Hercules Cortes) che discutono (anche degli elementi architettonici che caratterizzano la casa: «Ma che so tutte ste canne?», domanda Adelaide; «È una precisa qualificazione geometrica così ce stava scritto sul progetto della casa», risponde Ambleto) tra i balconi cilindrici e gli interni con divani circolari e pareti decorate da lunghe linee orizzontali blu e verdi. Interni che si possono ammirare anche ne «Lo strano vizio della signora Wardh», thriller sexy di Sergio Martino con Edwige Fenech girato nel 1971 e poi divenuto uno dei film cult per Quentin Tarantino, che a quell'estetica si è ispirato. Addirittura, un'altra casa romana, la sede dell'American University of Rome, è chiaramente ispirata al villino del Nomentano, che vanta dunque, come un noto settimanale enigmistico, anche tentativi di imitazione.
Insomma, quella casa non è solo una casa. Il problema è che la palazzina non se la passa troppo bene. Morto Papanice, venne venduta all'editore Giunti, per poi divenire ambasciata del Regno di Giordania. Sotto il cui «governo» il villino ha perso molti dei suoi elementi caratteristici, quelli che per Portoghesi la trasformavano in un omaggio postmoderno al Barocco. E la cosa non è sfuggita né agli addetti ai lavori lo stesso Portoghesi si era offerto di curarne un restauro, ma la sua proposta è rimasta senza risposta - né al nipote di Papanice, Edmondo, presidente dell'associazione culturale Halp e organizzatore di una mostra itinerante che celebra l'edificio e la sua storia. Edmondo ha visto sparire le canne d'organo dal tetto e poi dai balconi, la scala esterna abbattuta, le maioliche colorate della facciata cadere a pezzi. E se la situazione è questa all'esterno, forse anche gli interni immortalati da Scola e Martino non godranno di salute impeccabile. Così il nipote ha deciso di intervenire. Prima provando a parlare con l'ambasciatore, invano. Poi segnalando gli sfregi al soprintendente speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma, Daniela Porro. E adesso, chiedendo aiuto a lei, Rania di Giordania, la regina.
Edmondo le ha scritto una lettera, a dieci giorni dal compleanno della sovrana. Informandola delle gravi condizioni in cui versa l'edificio, e «dell'infausta decisione di privare l'opera architettonica delle sue principali componenti per una manutenzione priva di qualunque senso logico e distruggendo così uno dei simboli italiani dell'architettura post-moderna e meta di visitatori da tutto il mondo», così come del silenzio con il quale il personale diplomatico giordano ha risposto alla «proposta di restauro inviata dallo stesso architetto Portoghesi».
Papanice ricorda che anche il Campidoglio aveva scritto all'ambasciata chiedendo il ripristino dell'opera, per poi concludere con la richiesta di un regale soccorso: «Chiedo pertanto scrive Edmondo - un vostro intervento affinché si proceda a ridare dignità all'edificio con un ripristino originale dell'opera suddetta».
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