Una piccola rivoluzione che in tanti vedono già come qualcosa di sostanziale e non di prettamente simbolico. Il cartoncino non è ancora pervenuto ai leader del G20 ma la stampa indiana, prendendo un po' tutti di sorpresa, ha già anticipato che l'invito alla cena ufficiale di apertura dei lavori, in occasione del primo G20 presieduto dal Paese dell'Elefante, sarà inviato da Droupadi Murmu come presidente della Repubblica di «Bharat». Nell'invito insomma, sembra proprio che comparirà il termine indù, utilizzato già negli antichi testi in sanscrito, e non «India», termine di chiara derivazione coloniale.
La notizia ha subito provocato un'ondata di congetture, più o meno fondate, nel Paese più popoloso del mondo dove ci si chiede se il governo abbia intenzione di mettere definitivamente in cantina il termine britannico «India» nell'ambito di un piano politico più vasto, avviato dal presidente Narendra Modi, per rimuovere i simboli della colonizzazione britannica: dalle istituzioni politiche, ai libri di storia, dal paesaggio urbano a certe convenzioni di uso corrente. Oltremanica, la Bbc si è limitata a rilanciare la notizia senza dar segno, per ora, di voler far sentire la voce britannica sulla questione. Tanto più, osservano i commentatori del Paese, che Bharat non è solo un termine ben più antico di India, ma è anche uno dei due nomi ufficiali previsti dalla Costituzione. I membri del BJP, il partito nazionalista indù al governo, hanno già fatto una campagna contro l'uso del nome «India», che affonda le sue radici nell'antichità occidentale e che è stato imposto dal Regno Unito. Nel frattempo i media di tutto il mondo hanno riferito che «diversi ministri» del partito del Popolo (Bjp) che siede al governo hanno applaudito alla mossa, diversamente dai leader dell'opposizione che invece stanno mettendo in dubbio l'utilità della scelta.
Secondo France Presse, tuttavia, non ci sono dubbi sul fatto che si tratti «non solo di una disputa semantica»: il governo Modi - ha riferito Afp - ha convocato una sessione straordinaria del Parlamento alla fine di
settembre. Potrebbe essere quella l'occasione, secondo fonti del governo che hanno parlato in anonimato, per chiudere definitivamente con il passato e dare al Paese un nome in sintonia con la sua religione maggioritaria.
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