Carles, il protagonismo come cifra politica

Sfacciato, tenace, ma anche amato. È il peggior incubo del premier

Carles, il protagonismo come cifra politica
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Sei anni e dieci mesi dopo il presidente ribelle Carles Puidgemont si è giocato la sua ultima cartuccia sparando il colpo perfetto, colpendo dritto al cuore il governo spagnolo. L'ex presidente è tornato a Barcellona, in barba ai mandati d'arresto che pendono sulla sua testa, riemergendo come un fantasma dagli incubi di Pedro Sanchez, protetto da qualche agente dei Mossos d'Esquadra, e acclamato da una folla di catalani che dimostrano di non averlo dimenticato, ma che anzi, questi anni di lontananza sono serviti a santificarlo come un eroe che paga sulla propria pelle il sogno di una Catalogna indipendente: esilio dicono lui e i suoi; più prosaicamente fuga rispondono gli altri. E così, proprio quando il grande accordo tra i socialisti di Salvador Illa ed Esquerra Republicana, sembrava concluso, e quando Sanchez pareva favorevole all'idea di una autonomia fiscale capace di trattenere i soldi delle imposte nella regione, ecco che il leader di Junts irrompe con la forza di un terremoto politico e giuridico con il chiaro intento di smontare l'investitura di Illa e prolungare «el procés».

Con questo ritorno, studiato, pianificato e annunciato Puidgemont conferma di condurre la sua lotta all'insegna del protagonismo, sua cifra politica da sempre e di non aver alcun desiderio di uscire di scena. E chissà da quanto sognava questo colpo di teatro, sfacciato e sfrontato che indigna e umilia chi ne auspica la cattura da sempre, lui che sale e poi scende dal palco gridando «siamo tornati»; un evento trasmesso live dal suo account Instagram, dal Parc della Ciuttadella a un passo dal Parlament. Il ribelle di Amer, il figlio bravo a scuola e che solo lì smetteva di parlare catalano, nato da una famiglia di pasticceri, secondo di otto fratelli cresciuti con i valori cattolici, lontano dall'elite di Barcellona, Carles il ragazzino appassionato di storia e geografia catalana, ha fatto i conti con i suoi avvocati che suggeriscono che farsi arrestare adesso si può fare, si può correre il rischio. E allora l'occasione lui se la prende e se la strappa, capace di minacciare il regno con l'aria di sfida e la stessa capigliatura a nascondere le cicatrici sul volto di quell'incidente a vent'anni che quasi gli strappa la vita. E la Spagna sembra così tornata indietro nel 2017 quando il sogno indipendentista si era autoproclamato realtà con il President anima della volontà secessionista. Con l'appoggio del suo governo e del parlamento catalano, il 27 ottobre comunicava il risultato del voto referendario, proclamando unilateralmente l'indipendenza della Catalogna, atto considerato illegale dalla Corte Suprema. L'abbandono del Paese, il 30 ottobre lo aveva portato in Belgio, a rifugiarsi a Waterloo, a ribattezzare la sua residenza «Casa della Repubblica». All'inizio, era apparsa a tutti una mossa disperata. Il secondo presidente che aveva osato dichiarare indipendente la Catalogna, il primo era stato Lluis Companys che nel 1934 aveva proclamato la Repubblica. Durò undici ore, Companys arrestato e fucilato dal franchismo. A lui sta andando decisamente meglio. Sono passati quasi sette anni. Tanto è durato il sacrificio, arrestato due volte, in Germania e poi in Italia.

Su di lui pende un mandato d'arresto perché non beneficia dell'amnistia il suo comizio lampo di sei minuti ieri ha fatto centro: puntava a sospendere l'investitura di Illa, la scommessa politica che puntellava la traballante poltrona di Sanchez. Per ora il punto è tutto suo.

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