«Un giudice gigante», promessa di viceministro: perché la riforma costituzionale sulla separazione delle carriere dei magistrati che ieri inizia il suo cammino alla Camera avrà come risultato finale «potenziare notevolissimamente» il ruolo dei giudici rispetto a quello dei pubblici ministeri. A spiegarlo ai deputati è a nome del governo Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia, al termine di una seduta che dà il primo assaggio della temperatura che accompagnerà la discussione della legge. Da una parte la maggioranza, e soprattutto Forza Italia, a spingere sull'acceleratore di quella che il ministro Carlo Nordio definisce una «riforma epocale»; dall'altra le opposizioni che parlano di «riforma punitiva», di «furore ideologico», di «grimaldello per ledere l'autonomia della magistratura».
Ma ormai il treno è partito, tutti gli emendamenti della minoranza sono stati bloccati, e in aula Devis Dori di Avs sbotta, «andate avanti da soli»: che è proprio quello che accadrà, anche perchè al voto compatto del centrodestra si aggiungeranno i centristi di Azione! e quasi certamente anche quelli di Italia Viva.
Conseguenza, nei piani del ministro Nordio: avanti tutta. Le modifiche costituzionali devono essere approvate dalle due Camere per due volte, a distanza di almeno tre mesi l'una dall'altra. Ma il ministro è convinto che anche la seconda votazione potrà arrivare «tra la fine della primavera e l'inizio dell'estate». Se sul disegno di legge convergeranno i voti centristi, sulla carta sarebbe possibile la maggioranza dei due terzi che metterebbe al riparo dal referendum popolare. Ma ieri in aula Sisto spiega che in realtà è il governo stesso a voler portare la riforma all'esame del referendum: «Se questa riforma dovesse essere sottoposta al vaglio del popolo, mediante l'esercizio della democrazia diretta, questa sarà la migliore tranquillità per tutti. Ognuno di noi potrà affidarsi a quello che sarà il giudizio degli strumenti della democrazia diretta cari a tutti».
Due carriere distinte per giudici e pubblici ministeri, due Csm separati, i procedimenti disciplinari delle toghe sottratti al Csm e affidati a un'Alta Corte: su questo pacchetto di riforme, che cambia profondamente l'articolo 87 della Costituzione, gli italiani potrebbero venire chiamati a dire la loro entro l'anno, in un referendum che l'Associazione magistrati guarda con comprensibile timore visto che nel 2022 i sì alla separazione delle carriere furono una valanga, il 74 per cento, e la legge non venne approvata solo perché non si raggiunse il quorum. Ma stavolta il quorum non servirà.
Sisto, ad ogni modo, ieri in aula a Montecitorio usa toni soft, cerca di tranquillizzare: la riforma «non tocca minimamente il tema dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura, non tocca minimamente l'obbligatorietà dell'azione penale, non è un intervento punitivo nei confronti di chicchessia, non ha una componente ideologica. È una proposta che non cerca punizioni e conflittualità», dice il viceministro. E aggiunge: «Nessuno intende dare al pubblico ministero il ruolo di gigante e al giudice il ruolo di nano, esattamente il contrario.
Noi riteniamo che dividere il pubblico ministero dal giudice potenzi il giudice notevolissimamente. La crescita del giudice darà quell'idea di terzietà e di imparzialità che la Costituzione prevede». Ma forse è proprio di questo che il «partito delle Procure» ha paura.
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