Accade mercoledì scorso al Csm. Nino Di Matteo si alza e comunica al plenum: «Ho ricevuto un verbale con notizie diffamatorie se non calunniose nei confronti di un consigliere. Ho trasmesso questo verbale già un mese fa alla procura di Perugia». Ma quel verbale, anzi tutti i verbali dell'avvocato Piero Amara, anche se coperti da segreto, erano già da un anno nelle mani di un altro autorevole membro del Csm, Piercamillo Davigo, oggi fuori per limiti anagrafici. E Davigo sceglie un altro percorso, ancora non del tutto chiaro. Non informa il plenum, ma parla dei contrasti sorti a Milano, proprio sui verbali di Amara, con il vicepresidente del Csm David Ermini e, più nel dettaglio, con il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi cui però non consegna le carte. Pagine e pagine di deposizioni assai traballanti della gola profonda che sembra raccontare troppi particolari fantastici e che il pm di Milano Paolo Storari ha deciso di consegnare all'inizio di tutta questa storia in modo altrettanto irrituale a Davigo.
Come si vede, siamo dentro un intrigo dai contorni poco edificanti e in cui molti passaggi risultano a dir poco sconcertanti. La procura di Milano, alle prese con un personaggio così ambiguo e scivoloso, rallenta o ritarda l'iscrizione della notizia di reato e allora Storari, pm universalmente stimato, si rivolge a Davigo, quasi per autotutelarsi. Davigo segue una sua strada: certo non dice mezza parola a Sebastiano Ardita, uno dei bersagli di Amara che con lui ha creato il gruppo di Autonomia e indipendenza condividendo l'esperienza al Csm, prima di rompere però nell'ultimo anno ogni rapporto.
«Siamo in un contesto in cui sembra che nessuno si fidi più di nessuno», spiega al Giornale Alessio Lanzi, consigliere laico di Palazzo dei Marescialli. Certo, siamo dentro una geografia terremotata, al crocevia di corvi, che mandano in busta anonima ai giornali le dichiarazioni di Amara, veleni e manovre che si fatica a comprendere.
Storari dunque non si intende con il capo dell'ufficio Francesco Greco e va da Davigo. E l'ex pm di Mani pulite? «Ho informato chi di dovere», è la sua risposta laconica prima di puntare il dito, se le parole hanno un senso, proprio contro la procura di Milano e Greco, che, combinazione, con Davigo condivise Mani pulite: «Ritengo inusuale quello che era accaduto a monte, cioè che un sostituto procuratore lamentasse che non gli consentivano di iscrivere una notizia di reato. Non posso parlare del contenuto dei verbali - spiega Davigo al Tg2 - posso solo dire che per fare le indagini bisogna iscrivere una notizia di reato, che siano vere o false le cose dette, e non è pensabile di ritardarle ingiustificatamente. Quindi Storari per tutelarsi ha informato una persona che conosceva e io ho ritenuto di informare chi di dovere».«Non c'è stato nulla di irrituale - insiste Davigo - perché il segreto non è opponibile ai consiglieri del Csm».
Ma forse non è così. Anzi, le cose si ingarbugliano di nuovo. «Il consigliere Davigo - afferma Salvi - disse che vi erano contrasti a Milano circa un fascicolo molto delicato e che, a dire di un sostituto, rimaneva fermo». Tutto bene? No, per niente: «Né io né il mio ufficio abbiamo mai avuto conoscenza della disponibilità da parte di Davigo di atti o copie dei verbali di interrogatorio di Piero Amara. Si tratta di per sé di una grave violazione dei doveri del magistrato». Tutti i segmenti di questa vicenda appaiono anomali e meritevoli di approfondimento, se non di ulteriori indagini almeno sul versante disciplinare.
Salvi conferma almeno i frutti del colloquio con Davigo: «Informai immediatamente Greco.
Si convenne sull'opportunità di coordinamento con le procure di Roma e Perugia. Il coordinamento fu avviato immediatamente e risultò proficuo». E Greco? «Spaccatura in procura a Milano? - è la sua replica - ma quale spaccatura».
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