Un'altra denuncia contro il governo italiano sul caso Almasri. Questa volta è arrivata alla Procura della Corte penale dell'Aia, con cui i rapporti, dopo la liberazione del generale libico, sono piuttosto tesi, tanto che dal ministero della Giustizia filtra un possibile e imminente invio di una richiesta di spiegazioni sulle incongruenze nelle procedure del mandato di arresto dell'Aia. Mentre il ministro degli esteri commenta: «Bisognerebbe indagare la Corte». Ieri intanto all'Aia è arrivata una denuncia, come ha rivelato Avvenire, di un rifugiato sudanese che già nel 2019 aveva raccontato agli investigatori internazionali delle torture subite da lui e la moglie da parte di Almasri nelle carceri libiche. Nel documento trasmesso dalla procura al cancelliere e al presidente del Tribunale sono indicati i nomi di Meloni, Nordio e Piantedosi. Accusati di «ostacolo all'amministrazione della giustizia ai sensi dell'articolo 70 dello Statuto di Roma», perché «non hanno provveduto a consegnare il generale Almasri alla Corte penale internazionale» e avrebbero «abusato dei loro poteri esecutivi per disobbedire ai loro obblighi internazionali e nazionali». Dopo le prime fibrillazioni l'Aia ha chiarito che non c'è alcuna indagine nei confronti di «esponenti del governo italiano». L'organismo riceve centinaia di denunce ogni anno, definite «comunicazioni», ma non c'è alcun procedimento contro Roma. «Qualsiasi individuo o gruppo da qualsiasi parte del mondo può inviare informazioni al procuratore della Corte penale internazionale. L'ufficio del procuratore non rilascia dichiarazioni in merito a tali comunicazioni», ha precisato in una nota. Anche fonti di Palazzo Chigi confermano che «al momento non risulta alcun procedimento».
Se le cose cambieranno si capirà nelle prossime settimane, dato che i tempi di analisi dei giudici dell'Aia non sono brevi. Anche la denuncia del rifugiato sudanese sarà dunque analizzata e verificata.
Gli avvocati che l'hanno trasmessa per conto del rifugiato fanno parte di «Front-Lex», una ong di legali per i diritti umani che si batte nelle sedi internazionali, all'Onu e all'Aia, contro «le politiche di deterrenza e di chiusura dell'Europa», come si legge nel manifesto pubblicato sul loro sito. «L'Unione europea, i suoi Stati membri e i suoi associati, i loro governi, i ministeri, i politici e i funzionari dovrebbero essere chiamati a rispondere dei loro crimini contro i rifugiati nel Mediterraneo e ai confini dell'Ue», scrivono. Tra le denunce che hanno portato avanti negli anni, c'è anche quella contro Frontex, l'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, per la «fornitura di informazioni sulla posizione delle imbarcazioni dei migranti alla Guardia Costiera libica».
Già 2019, scrive Avvenire, lo stesso rifugiato sudanese aveva presentato una comunicazione all'ufficio del procuratore fornendo «un'ampia serie di prove» che a suo dire implicavano responsabilità di alti funzionari dell'Ue e dell'Italia, tra cui ex primi ministri e ministri italiani per avere favorito il compimento di crimini contro i diritti umani in Libia. La sua testimonianza è tra quelle contenute nell'atto d'accusa allegato al mandato di cattura per Almasri.
E ieri anche una donna della Costa d'Avorio - assistita dall'avvocato Angela Bitonti, presidente di Adu (associazione per la tutela dei diritti fondamentali dell'uomo) - ha presentato una denuncia contro lo Stato alla Procura di Roma sul caso del generale libico, ipotizzando eventuali omissioni o il favoreggiamento.
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