Nel processo in corso dall'ottobre scorso a Kinshasa a carico della banda di rapinatori accusati di aver ucciso l'ambasciatore Luca Attanasio nell'est della Repubblica democratica del Congo (Rdc), la pubblica accusa di un tribunale militare ha chiesto la pena di morte per i cinque imputati alla sbarra e per il loro capo, latitante. Un massimo rigore solo formale dato che da esattamente 20 anni nel Paese africano vige una moratoria di fatto sulle esecuzioni capitali, che comunque vengono commutate sistematicamente in carcere a vita. Nell'agguato del febbraio 2021 morirono anche il carabiniere Vittorio Iacovacci e l'autista, Mustapha Milambo. «Le vittime sono state rapite e trascinate nel profondo della foresta prima di essere giustiziate», ha argomentato il procuratore militare, il capitano Bamusamba Kabamba, nella requisitoria tenuta nella prigione militare di Ndolo, dove sono rinchiusi i cinque congolesi. Già per sabato è prevista l'arringa della difesa. Durante le udienze svoltesi settimanalmente dal 12 ottobre, l'accusa aveva presentato gli imputati - arrestati nel gennaio dell'anno scorso - come componenti di una «banda criminale» dedita alle rapine lungo le strade. I malviventi, secondo la ricostruzione emersa durante il processo, inizialmente non intendevano uccidere l'ambasciatore, ma solo rapirlo e poi chiedere un milione di dollari per il suo rilascio. Gli imputati, sotto il tendone bianco che costituisce l'aula del processo, nelle udienze hanno negato un loro coinvolgimento ritrattando le iniziali ammissioni estorte, a loro dire, con la tortura. A determinare la richiesta di pena di morte sono state le accuse di «associazione a delinquere» e «omicidio volontario». Agli imputati il pubblico ministero ha ascritto anche il reato di «porto illegale di armi da guerra», per il quale vengono comminati 20 anni di reclusione e che ha giustificato il ricorso al tribunale militare. La parte civile non ha formulato richieste di pene detentive ma solo la condanna per i danni subiti dallo Stato italiano e dalla famiglia.
Nel primo caso si tratta di un per ora non meglio precisabile «apprezzamento equitativo», quindi a discrezione del giudice; mentre per i familiari sono stati chiesti 60 milioni di dollari a carico degli imputati: una richiesta che appare più formale che reale presumendo l'impossibilità che i criminali dispongano di una cifra del genere.
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