Il "caso Zanon" letale per le ambizioni di Sciarra

La giudice punta alla Scuola superiore dei magistrati ma la sentenza su Ferri ora potrebbe costarle cara

Il "caso Zanon" letale per le ambizioni di Sciarra
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Il «caso Zanon» potrebbe innescare un terremoto politico e giudiziario. Le rivelazioni dell'ex giudice costituzionale Nicolò Zanon sulla sentenza Ferri tirano dentro l'ex presidente della Consulta Silvana Sciarra, oggi in pole per la presidenza della Scuola Superiore della Magistratura, l'ente responsabile della formazione delle toghe italiane. Al Csm spetta la nomina di sette membri del Comitato direttivo su 12: gli altri cinque sono scelti dal ministro della Giustizia. È in corso una guerra senza precedenti tra le varie correnti.

Per la presidenza il nome più accreditato è quello di Sciarra (vicina alle correnti di sinistra). Una corsa che rischia di essere azzoppata dal Zanon-gate. Dall'altro lato, in Parlamento si apre un'altra partita delicata. La Giunta per le autorizzazioni della Camera, alla ripresa dei lavori a gennaio, affronterà il delicato dossier relativo alle dichiarazioni rese da Zanon il 13 dicembre scorso al teatro «Parenti» di Milano durante la presentazione del libro di Alessandro Barbano «La Gogna». L'ex consigliere ha rivelato che «la sentenza della Corte costituzionale sul caso Ferri ribaltò i principi della Carta, mettendoli sotto i tacchi. Lo ha fatto per tutelare alcuni equilibri tra i poteri dello Stato perché non era possibile smentire la Cassazione e il Consiglio superiore della magistratura». Il riferimento di Zanon è alla decisione adottata dalla Corte il 7 luglio del 2023 sull'utilizzo delle intercettazioni a carico dell'ex deputato Cosimo Ferri. Si trattava delle famose conversazioni del 9 maggio del 2019, all'hotel Champagne di Roma, quando alcuni consiglieri del Csm discutevano della corsa alla procura di Roma insieme all'ex pm Luca Palamara e a due deputati renziani: lo stesso Ferri e Luca Lotti.

La Consulta, decidendo sul conflitto di attribuzione sollevato dalla sezione disciplinare del Csm, nel luglio del 2023 stabilì che Montecitorio non poteva negare l'uso delle intercettazioni di Ferri, già magistrato. Una decisione che - secondo Zanon fu il risultato di una mediazione politica all'interno della Corte. Sospetto che spinge la Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio a valutare la strada di un esposto alla Procura contro i giudici costituzionali per abuso d'ufficio.

Dopo le dichiarazioni di Zanon, ci sarebbero alcuni passaggi ancora da chiarire. È il 6 giugno 2023 quando la Consulta si riunisce per decidere sul caso Ferri. Alle 11 e 13 del 6 giugno Liana Milella di Repubblica anticipa sull'edizione online la decisione (che poi si rivelerà sbagliata) della Corte: «Intercettazioni e chat che hanno per protagonisti i parlamentari non possono essere utilizzate senza l'autorizzazione del Parlamento», scrive Milella. Polpetta avvelenata o tentativo di innescare la famosa trattativa di cui parla Zanon? Resta tutto congelato fino al 7 luglio, quando la Corte si pronuncerà ma in modo opposto a quanto scritto da Milella: «Ferri poteva essere intercettato». Una sentenza accompagnata da due misteri.

Il relatore Franco Modugno sarà sostituito con un altro giudice: Stefano Petitti, esponente di spicco di Magistratura democratica, corrente di sinistra. Motivo della sostituzione? Secondo: il silenzio dell'ex presidente Sciarra dopo le accuse di Zanon.

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