La fine di un incubo durato cinque anni per l'ex parlamentare azzurro, poi transitato in Gal (gruppo Grandi autonomi e libertà, ndr), Antonio Caridi. Assolto venerdì sera dai giudici di Reggio Calabria perché il «fatto non sussiste». L'accusa era infamante: «associazione a delinquere» nell'ambito del processo «Gotha» sulla 'ndrangheta. Un dibattimento durato cinque anni il cui epilogo, in primo grado, è finito bene. Ma l'odissea è stata tostissima: il pm aveva addirittura chiesto 20 anni per Caridi. Invece le accuse si sono sciolte come neve al sole. Eppure l'ex parlamentare è stato arrestato nel 2016, sbattuto in carcere a Rebibbia, distrutto politicamente e umanamente. «Sono soddisfatto, ho sempre avuto un comportamento improntato alla massima trasparenza», la sua prima reazione. La seconda: «Mi voglio riprendere la mia vita, che è stata mortificata, anche da 18 mesi di carcere a Rebibbia, in alta sicurezza. Una barbarie. Voglio ringraziare i miei avvocati Carlo Morace e Valerio Spigarelli che mi sono sempre stati vicini anche umanamente». Rabbia per gli ex colleghi che l'hanno mandato in carcere? Al Giornale Caridi giura: «Non ho mai portato rancore, sono un cattolico io». Di politica, però, non vuol parlare: «Non ho ancora firmato per i referendum e in ogni caso con la politica ho chiuso. Dal 2016 non voto nemmeno più».
Il politico era stato indagato dalla Dda con l'accusa di fare parte di una associazione segreta, capeggiata dall'ex parlamentare del Psdi, Paolo Romeo, condannato invece a 25 anni, con l'obiettivo di condizionare la politica cittadina e per avere agevolato le cosche De Stefano e Gullace, in cambio di sostegno elettorale. Con Caridi, sono state assolte altre tredici persone. Nel 2016, l'indagine e la richiesta di arresto con tanto di «ok» del Senato, pieno di polemiche: voto segreto, 154 favorevoli, 110 contrari, 12 astenuti. A far tintinnare le manette, Pd e Movimento 5 stelle in coro. Unico dem a rifiutare l'ordine di scuderia, il senatore Luigi Manconi che evidenziò «palesi carenze e gravi debolezze delle motivazioni addotte a sostegno della richiesta di arresto». E ancora, parlando di fumus persecutionis, alzò il dito: «Se fossero state sussistenti le necessità cautelari per l'arresto del senatore Caridi, perché non sono state fatte valere quindici anni fa, quando essendo stato informato di indagini nei suoi confronti per così gravi capi d'accusa lo stesso Caridi avrebbe potuto inquinare le prove o sottrarsi alle indagini con la fuga?». Nessuna grinza ma... Per Caridi si spalancarono le porte della cella. Per tanto, tantissimo tempo. Ottantacinque settimane di galera da presunto colluso con la 'ndrangheta. Ottantacinque settimane in gattabuia in custodia cautelare. A liberarlo, nel 2018, una sentenza del Tribunale del riesame di Reggio Calabria. E per ben due volte la Corte di Cassazione si espresse dicendo che, lette e rilette le carte, non era saltato fuori neppure un indizio piccolo piccolo che suffragasse l'ipotesi di Caridi mafioso. Già da quei pareri della Cassazione si poteva evincere l'insussistenza delle accuse. Quindi, dopo venti mesi di galera, ingiusta, Caridi è tornato a casa.
Ma con sempre un processo da affrontare perché nonostante i supremi giudici avessero detto che l'impianto accusatorio era traballante, il Tribunale del riesame derubricò l'accusa a «concorso esterno». Come a dire: «Sì, ok, Caridi non è mafioso ma, almeno un pochino la mafia l'ha aiutata». Invece no: assolto perché il fatto non sussiste.
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