«A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro che ti epura», diceva Pietro Nenni. Ma se il puro e l'epurato sono la stessa persona la situazione diventa ancora più paradossale. È il caso di Andrea Cozzolino, arrestato su mandato della procura belga nell'ambito della cosiddetta inchiesta Qatargate e da ieri agli arresti domiciliari dopo aver passato una notte al carcere di Poggioreale. All'europarlamentare vengono contestati i reati di organizzazione criminale, corruzione e riciclaggio per regali e denaro ricevuto per favorire il Marocco nella sua attività politica. Lui si professa innocente e sostiene di confidare nell'operato della magistratura. Eppure, non è sempre stato così garantista. Infatti, c'era un tempo non troppo lontano in cui Cozzolino vestiva quasi i panni del giustizialista e si ergeva a simbolo della legalità. Naturalmente nei confronti degli avversari politici. Per carità, ancora le accuse contro di lui sono tutte da dimostrare e l'udienza sulla richiesta di estradizione si terrà il prossimo 14 febbraio, però colpisce il doppiopesismo con cui Cozzolino nel 2017 affrontava lo scandalo che coinvolse l'allora sindaco di Torre del Greco (Napoli), Ciro Borriello, sostenuto da una maggioranza di centrodestra. Fin dal giorno seguente al suo arresto per l'accusa di corruzione e truffa, Cozzolino iniziò subito a scagliarsi contro l'avversario politico. Era l'8 agosto 2017 e Cozzolino tuonava: «L'arresto del sindaco di Torre del Greco è un episodio gravissimo. Al di là delle presunte responsabilità dei singoli, questa vicenda deve spingerci ad aprire una profonda riflessione rispetto al tema della corruzione. Un cancro che si annida nel sottobosco delle istituzioni e che mina dalle fondamenta la credibilità della politica». Alla faccia del garantismo, della presunzione di innocenza e della fiducia nell'operato della magistratura. Fa un certo effetto rileggere queste dichiarazioni roboanti e così nette. Dichiarazioni che Cozzolino dovrebbe allora rivolgere a se stesso, seguendo quantomeno una coerenza di pensiero. Troppo facile essere indulgenti con se stessi e inflessibili giustizialisti con gli altri.
Dopo aver lodato le dimissioni in blocco dei consiglieri, Cozzolino si rivolgeva poi al Partito Democratico e alle forze migliori della società civile torrese che «hanno ora il dovere politico-morale di costruire una credibile proposta alternativa al malaffare e alla malapolitica. L'augurio è che dopo una stagione di bonifica commissariale si possa tornare al voto cancellando così una delle pagine più tristi e buie della storia di una città gloriosa e importante, anche a livello europeo, come Torre del Greco».
Come se non bastasse, due giorni dopo, Cozzolino rincarava la dose, chiedendo ufficialmente al ministero dell'Interno «di accelerare le procedure relative alla nomina del commissario prefettizio chiamato a guidare la città di Torre del Greco» per uscire presto da questo «vortice del malaffare che ha caratterizzato, secondo gli inquirenti, una delle stagioni più nere della storia politica campana».
Insomma, la cautela non era proprio all'ordine del giorno.
Fino a quando di mezzo non c'è stato lui. Come sta succedendo adesso in uno dei principali scandali che ha colpito la sinistra e in cui regna la corruzione, la stessa che Cozzolino definiva «un cancro che si annida nel sottobosco delle istituzioni».
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