Riceviamo e pubblichiamo: La notizia de “il Giornale” relativa alla domanda di iscrizione di Fini alla Fondazione Alleanza Nazionale è priva di ogni fondamento.
L’onorevole Gianfranco Fini non ha infatti mai avanzato richiesta di iscrizione alla Fondazione e conseguentemente risulta del tutto non rispondente al vero che vi sia mai stata una qualsiasi discussione su una domanda mai avanzata. Il Giornale deve essere stato tratto in inganno da una voluta falsa informazione, non si sa bene da chi e a quale scopo. Forse dispiace a qualcuno che la Fondazione abbia accelerato il passo delle sue iniziative con la nomina di Marcello Veneziani a Presidente del Comitato Scientifico e Culturale, con l’indizione dell’Anno dell’Identità Nazionale, che si aprirà sul Piave il 24 maggio e con la predisposizione di un “corso di Formazione politica” e di diverse altre iniziative.
Gianfranco Fini, fondatore di Alleanza Nazionale, ex segretario del Movimento sociale italiano, ha chiesto la semplice iscrizione alla Fondazione che amministra il patrimonio del suo ex partito. Richiesta respinta. La maggioranza degli iscritti lo accusa di «indegnità morale». Lui ha cercato il consenso dei suoi «ex ragazzi» Italo Bocchino e Gianni Alemanno. Anche il suo ex capo ufficio stampa Francesco Storace si è detto d'accordo, ma la stragrande maggioranza dei soci ha detto no: «Ti sei già scordato dell'appartamento di Montecarlo?».
Il Giornale è venuto a conoscenza di questa ultima disavventura dell'ex presidente della Camera Gianfranco Fini. L'agognata iscrizione doveva coronare una frenetica attività presenzialista, avviata negli ultimi tempi negli studi televisivi de L'aria che tira , Agorà , Omnibus . Una storia, quella di cui sopra, che fa venire i brividi. «È come se a D'Alema non venisse data la tessera del Pd» scherza qualcuno. A volte, però, basta un episodio, un errore, la perdita di lucidità, e la carriera è segnata.
Lo strappo del 2010, quando ha abbandonato la casa del Popolo della Libertà, e poi la deriva centrista abbracciando al contempo Pierferdinando Casini e Mario Monti. In sintesi, errori su errori che culminano con la non rielezione alle politiche del 2013: il suo Fli, di cui lui è capolista, frana allo 0,47%. Lui resta fuori dal Parlamento, il partito pure. Dai vertici di Montecitorio ai giardinetti, insomma. L'ultimo incarico, presidente di Fli, lo lascia a maggio 2013.
Per settimane, mesi, il viso dell'ex ministro degli Esteri è scomparso dai radar. Nessuna intervista, nessun pamphlet alle stampe, quasi a voler mostrarsi distaccato da quella passionaccia che è la politica. Poi, piano piano, in punta piedi, è riapparso, abbronzato e con al seguito la compagna Elisabetta. «Vai a sapere che starà preparando?», sussurravano in Transatlantico. Chissà. Di certo, dall'inizio del 2015 c'è stato il cambio di passo. Per un attimo si ferma con Passera, ma poi vira a destra. In una intervista a Repubblica arriva ad evocare «un centrodestra con le idee» anche se «ma prima di tutto bisogna fare chiarezza sui contenuti». Guarda al modello Alleanza nazionale, d'altronde, «An segnò uno dei primi movimenti post-ideologici». Come a dire, un ritorno al passato perché c'avevo visto lungo nel 1993. Nostalgico. Ed ecco il colpo di scena. Fini prova a ritornare lì da dove ha iniziato. Per prima cosa si avvicina nuovamente ai suoi vecchi «ragazzi», Italo Bocchino e Gianni Alemanno. Fra cene, vecchi ricordi, e discussione sul futuro della destra, Fini si decide e chiede di entrare, come semplice iscritto, nella Fondazione An. Una fondazione che non ha solo il compito di conservare i valori della destra, ma che gestisce un vero patrimonio di 203 milioni di euro. Case e uffici per altrettante sedi di partito sparse in tutta Italia. Sembrava fatta ma quando gli iscritti sono stati chiamati a pronunciarsi sull'ingresso di Fini, ecco le prime divergenze. «È un traditore», «ha tradito Berlusconi», «ha gestito il partito come un affare di famiglia, ricordate la casa di Montecarlo?», «si è legato ai professori Monti e Fornero, quelli che hanno tagliato le pensioni». E dopo di giorni di discussioni è arrivata la sentenza: «Indegnità morale». Sconsolato, Fini ha accettato il verdetto in silenzio, senza polemizzare, in un estremo tentativo di recuperare la dignità di figlioccio di Giorgio Almirante. Ormai un uomo senza patria e senza seggio, a Fini non rimane che seguire la scena politica dal suo studio di ex presidente della Camera. Era il leader della destra, adesso anche la destra non lo vuole più.
di Giuseppe Alberto Falci
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