Per le nostre esplorazioni estive in edicola, abbiamo scelto quest'anno le riviste di arredamento che, diciamolo subito, non si limitano a suggerire come si arreda una casa. Per non essere banali, esse insegnano «la cultura dell'abitare d'oggi», secondo il sottotitolo di un mensile specializzato. D'altronde, se il lettore non vuole correr rischi, è bene che in effetti non abbia mobili da comperare, ma sfogli questa sontuosa letteratura con puro spirito di vacanza. Tanto più che vi troverà articoli sul «palazzo arabo-moresco nella Medina», sulla «roccaforte medievale con favolosa riserva di caccia al cervo», sul «bungalow-tempio in un'isola fuori del mondo» o sulla «penthouse in cima a un grattacielo dl Manhattan», non però sul tipo di appartamentino semiperiferico in cui ha molte probabilità di vivere.
Un'idea in apparenza alla nostra portata ce la propone, su «Interni», Martin Walde, artista che «gioca sull'effetto a sorpresa quando traccia figure astratte ottenute con dei buchi nel muro». Noi di buchi nel muro ne abbiamo, ma non sono firmati, e dubitiamo di trovare qualcuno che ce li firmi e che firmi nel medesimo tempo su «Interni» o su «Area» o su «Casaviva». Nell'«universo inquietante» dell'arredamento, tutto deve essere firmato, comprese le piastrelle del bagno, salvo forse i quadri d'autore, essendo risaputo che gli antichi maestri di regola non firmavano.
Comunque, come sospettavamo, «la stagione postmoderna sta tramontando». Anche il militant modern, con la sua «mattana del metallo fracassato», ha i giorni contati. «La creatività si esprime in forme più soft», e vi sono «quattro tendenze emergenti: esotismo, nuovo romanticismo, nuovo design, Rivoluzione francese». «Adesso piace la sensualità plastica, imprevedibile, avvolgente, calda», non più «l'euforia razionalista o il design levigato, geometrico, strutturale». Ma la confusione è tollerata, perché, come assicura un designer (a tempo perso filosofo della storia), «alla fine di ogni secolo si verifica una gran confusione di stili, e noi ne stiamo vivendo una proprio ora».
La casa d'oggi è imperniata sul bagno, «il più pubblico dei luoghi privati», «scrigno di un momento del tutto privilegiato della giornata». Se non che il bagno non è più bagno, è «quasi un salotto dove si può leggere seduti su una poltrona turchese sentendo della musica»: è palestra, sauna, idromassaggio, luogo di relax, di meditazione, di giochi erotici. La vasca a due posti (almeno), «per persone affiatate», è «nata per accogliere sogni proibiti». Vi si accede salendo o scendendo scalini di marmo, e ha un «impianto di illuminazione subacqueo». Il liquido contiene «sostanze fitocosmetiche», la rubinetteria è placcata in oro zecchino, «con lo stesso procedimento usato per gli orologi svizzeri». Sono già disponibili «le prime sculture da bagno, in fusione di bronzo» (firmate). Un articolo mostra le latrine di Ostia Antica per dimostrare il progresso realizzato.
Dopo il bagno viene il letto o zona notte, dove pure si dorme poco, ma si scrive, si lavora, si fa l'amore, si mangia, si guarda la tv, ci si tuffa sulle molle per rimbalzare. Il materasso è ortopedico e rotante, la testa mobile, il piano di servizio a controllo digitale, il poggiareni e il poggiatesta spostabili, il comodino a rotelle per «posizionarlo». I bambini dormono in una camera separata, inoffensiva, con «spigoli arrotondati e profili in gomma colorata», insonorizzata, ma con impianto interno di controllo televisivo. Le pareti inizialmente bianche sono i primi quaderni di scuola, da non censurare mai. È in commercio «la cameretta di Barbie» a dimensione umana, ma è possibile, non necessario, che i maschietti preferiscano la cabina-clipper completamente accessoriata, con veri salvagenti, pistole lanciarazzi per segnalazioni coi genitori, eccetera.
La cucina è «un paesaggio domestico futuribile», con programmatore elettronico incorporato in apposita work station decorata a origami, in omaggio al Giappone. Vi sono i robot per tutte le lavorazioni del cibo e con «potenza ad azione planetaria», qualunque cosa ciò voglia dire. C'è la «torre frigorifero plus-prestazionale», il «pallottoliere computerizzato», il «leggio per la più comoda consultazione dei sacri testi gastronomici». Ma appena possibile ci si trasferisce all'aperto, dove trionfa il barbecue vicino alla piscina. Il barbecue, completo di grill modulare, girarrosto affumicatore e bandierina segnavento, consente «il rito tribale del superparty» e il «contatto col fuoco ancestrale». La piscina, oltre che servire a spegnere gli incendi, nasconde «un segreto: sul suo fondale è deposto un piccolo robot, munito di proboscide aspiratrice, che per quattro ore al giorno assicura la limpidezza delle acque».
Trasferito il salotto nel bagno e la camera da pranzo nel letto, abolita la conversazione grazie alla tv, resta poco da fare nel living. Non si vive, nel living, al massimo si ricevono i fotografi delle riviste di arredamento. Il living «si visita», per esempio per ammirare la sedia, che «Ludwig Mies van der Rohe disegnò per il padiglione della Repubblica di Weimar all'Esposizione industriale di Barcellona del 1929». Sulle sedie del genere, s'intende, non ci si siede, e spesso sarebbe pure impossibile farlo, per la loro scomodità. Forse ci siamo sempre sbagliati, noi gente comune, a proposito delle sedie: infatti un articolo parla dello «sviluppo del concetto della sedia come alternativa al modo di sedersi».
Da guardare, più che da usare, è inoltre il camino. Marta Marzotto ci mostra il suo a foggia di «onirico drago che ha le sembianze di un truce orco a ricordo delle minacciose fattezze della Bocca della Verità». Altri camini, pur essendo tra le cose più immobili del mondo, hanno «forme aerodinamiche». Altri ancora servono soltanto a «detecnologicizzare» l'onnipresente televisore dirimpettaio. Il televisore è un problema: una volta era esibito come un altare, poi si prese a nasconderlo o a mimetizzarlo, e ancora oggi c'è chi suggerisce la «tv finestra», quando comunque la vista verso l'esterno non sarebbe ideale. Ma le soluzioni vanno studiate caso per caso: «La televisione occupa uno spazio legato alla propria materialità di oggetto, alla specificità delle sue caratteristiche d'uso, all'area di influenza sulle persone che ne usufruiscono. L'insieme di queste aree connota il territorio televisivo, che include spazio, oggetti e persone».
Certo è che, «in attesa di vivere l'era della telematica, un televisore per camera sembra il minimo indispensabile». Non più indispensabile, al contrario, la taverna o tavernetta di cui tanto si parlava negli anni scorsi. Non più indispensabile l'antiquariato e soprattutto, il Luigi XVI, che forse solo l'imminenza del bicentenario della Rivoluzione francese rimetterà in auge ma con qualche gamba di mobile ghigliottinata. Indispensabile il «modernariato», Ia «rivisitazione» dei vari pezzi, «l'intervento sul già vissuto per nuove ritualità che si contrappongono alle vecchie».
I rubinetti, «piloti d'acqua», devono essere «ricchi di simboli» (fallici?). I mobili di cucina devono essere «il ritratto dell'ergonomia». Il trompe-l'oeil deve ingannare per definizione. E insomma nulla deve essere quel che pare, o esclusivamente quel che pare. La piccola palma deve fare «ritorno dalle Indie». L'àncora messa nell'angolo deve alludere a Sinbad il marinaio. Tutto deve essere «emblematico» e costoso. A volte basta un cartellino del prezzo a nobilitare l'oggetto, se la cifra ha molti zeri.
E sospettiamo che le cose più care siano quelle chiamate «francescane», povere, semplici, disadorne, anticonsumistiche. Come scrive il direttore di «Area», le case diventano «teatrini di cui noi siamo al tempo stesso scenografi, attori e se ci piace spettatori». E se anche non ci piace, finanziatori.23 agosto 1988
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