Chi rifiuta le croci sventola il vessillo Lgbt

Battaglia ideologica in vetta. E si dimette il curatore del portale Cai

Chi rifiuta le croci sventola il vessillo Lgbt
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Bando alle ipocrisie. La vicenda delle croci di vetta non è stata un malinteso. Non si può minimizzare relegando il caso a «opinioni personali». Basta infingimenti. Il «Giornale» l'ha raccontato venerdì: per qualcuno, ormai, anche i crocifissi su un monte italiano sono «divisivi». Non più patrimonio condiviso, ma simboli «di parte» e inopportuni in spazi che si vorrebbero neutri. «Anacronistiche» sono state definite, quelle croci, sullo «Scarpone», il portale del Club alpino italiano. La posizione presa dal curatore del sito e avvalorata dal direttore editoriale Cai: rispettare (e restaurare) le croci esistenti, non collocarne di nuove. Non è una linea radicale o blasfema, basta dire che il libro che di questo si occupa è stato presentato in Cattolica a Milano. Il presidente del Cai Antonio Montani, scusandosi, è intervenuto non tanto per smentire ma per chiarire. Per sconfessare.

Ha spiegato che il Club alpino italiano non ha una posizione ufficiale e che non ha «mai trattato l'argomento delle croci in vetta in alcuna sede, tanto meno prendendo una posizione ufficiale». La posizione non è dunque condivisa dal Club. «Non riesco ad immaginare la cima di questa nostra montagna senza la sua famosa croce» ha detto parlando del Cervino. Ieri ha reso note le sue dimissioni il curatore dello «Scarpone», Pietro Lacasella. L'ha fatto con una lettera molto dignitosa in cui sottolinea di aver sollevato la questione con un imprimatur interno preciso. Chiarite le posizioni, inutile tentare di ridurre tutto a un piccolo «equivoco», o all'errore di qualcuno (per quanto una certa avventatezza possa aver pesato). No la questione è viva e divide. E se continua a far discutere è perché su quelle vette, così amate da tanti, si è disputata e si disputa una piccola ma significativa battaglia culturale, che va molto oltre i meccanismi di comunicazione interna del Cai. Il fatto è che quelle vette sono spazi pubblici simbolici. Se così non fosse, non si capirebbe perché - per esempio - a fine maggio, l'Arcigay Rieti, accompagnata proprio dal Cai Rieti, abbia deciso di portare sulla vetta del Terminillo una bandiera arcobaleno che rappresenta le storiche istanze Lgbt.

«Le battaglie si fanno a qualsiasi quota» ha scritto l'autrice del saggio sulle croci di vetta. È la sua idea legittima. Dimostra che quegli spazi pubblici non sono ritenuti neutri. E che ciascuno, legittimamente, ambisce a dar loro i colori e le forme che preferisce.

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