Per i regimi comunisti (ancora ve ne sono) e per quelli fascisti, che non ci sono più, gli intellettuali erano preziosissimi. Non solo pilastri della propaganda, «organici» al partito (unico) al potere. Qualcosa di più: dovevano elaborare la linea del regime per diffonderla nei luoghi di cultura e nelle loro varie attività, letteratura, cinema, arte, musica, filosofia e persino scienza. La formula più cruda e al tempo stesso efficace per definire il ruolo degli intellettuali di regime la coniò Stalin, quando disse che dovevano essere «gli ingegneri dell'animo umano». Ora, il sottosegretario Andrea Martella, anche se viene dal Pci, non ha i baffoni ma le sue parole, vergate in un pezzo di ieri apparso su Repubblica, molti echi sinistri fanno risuonare nelle menti libere memori della storia. Fin dal titolo piuttosto vintage («Lettera agli intellettuali») capiamo dove il membro del governo voglia parare: essi devono impegnarsi alla «orditura di nuove trame». Noi, e si intende il governo Conte, abbiamo bisogno, continua il sottosegretario, della loro «saggezza» e della loro «sapienza» per convincere tutti che l'individualismo va abbandonato, non conta più l'io, ma il noi, e che bisogna «riscoprire il valore del rispetto e del reciproco riconoscimento», oltre ad impegnarsi per l'ambiente, che non manca mai, e contro le «diseguaglianze». Puro sinistrese da sezione Pd e da salotti, niente di particolarmente originale, grandi programmi astratti, solo una vena comica inintenzionale: se Martella frequentasse davvero gli «intellettuali» saprebbe infatti che in loro albergano «saggezza e sapienza» in dosi assai minori che nella gente comune. Se fosse stato scritto da un qualsivoglia deputato piddino lasceremmo correre, ma Martella è membro del governo, nonché ideatore mesi fa di una task force contro le fake news piuttosto inquietante. E quindi vuol dire che il governo, per bocca sua, indica agli intellettuali cosa devono pensare. Ed è piuttosto chiaro: sostengano la linea della sinistra in generale, quella del governo nello specifico, e zittiscano gli oppositori perché non è più tempo di «conflitto». In cambio, non lo si scrive ma è implicito, il governo saprà essere riconoscente con loro, si immagina in finanziamenti e in prebende statali.
Se in Italia ci fosse un ceto intellettuale non pezzente, rimanderebbe al mittente questi inviti da anni Trenta a farsi «ingegneri delle anime». Ma conoscendo i nostri polli, saranno invece lì pronti a farsi ancora più conformisti di quanto non siano già. In nome della «autonomia della cultura», ovvio.
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