
Alla fine Giorgia Meloni tira fuori dal cilindro l'idea che dovrebbe offrire all'Ucraina le stesse garanzie di difesa della Nato senza che ci sia di mezzo la Nato. «Prevede - spiega la premier - l'attivazione di garanzie di sicurezza, tra l'Ucraina e le Nazioni che intendono sottoscriverle, sul modello del meccanismo dell'art. 5 del Trattato Nato, e ciò non implica necessariamente l'adesione di Kiev all'Alleanza Atlantica». È il modo di mettere insieme, almeno sul piano teorico, le esigenze, le condizioni, i limiti che si è autoimposto il governo italiano districandosi tra la necessità di non abbandonare Kiev, di coniugare i vincoli che Trump pone sul coinvolgimento americano e l'interventismo dei trenta paesi volenterosi del trio Starmer-Mertz-Macron, e infine, di evitare lo schieramento di soldati italiani in Ucraina. Non per nulla la premier ha ricordato che nell'art. 5 del trattato dell'Alleanza l'assistenza al paese aggredito non prevede solo l'uso della forza e ha rimarcato il fatto - per fare proselitismo - che i paesi che aderissero all'intesa con Kiev potrebbero contare per la loro difesa sull'esercito ucraino che la guerra con i russi ha trasformato in uno dei più temibili d'Europa.
Insomma, la Meloni per Kiev ha quasi fondato una nuova Nato all'insegna del volontariato. Del resto se non vuoi scontentare Trump ma nel contempo non vuoi inimicarti l'Europa, se vuoi dare un mezzo Ok al RearmEu, pardon al DefendEurope secondo il vocabolario meloniano, e non farti rompere troppo le scatole da Salvini e non esporti alle accuse della sinistra, devi usare la fantasia.
Alla fine l'operazione è riuscita anche se nell'aula del Senato non molti l'hanno capita. Ad esempio, domanda: in questo gruppo di Stati che dovrebbero garantire Kiev ci saranno gli americani o no? «Ma certo che ci saranno - giura il ministro degli Esteri Tajani - Giorgia vuole il loro coinvolgimento da sempre». È quello che ha capito anche Pierferdinando Casini, che nel Pd è stato ribattezzato «art.5». «L'Ucraina non sarà nella Nato - dice - ma gli americani la difenderanno». «La Meloni si riferisce - spiega Dario Franceschini - ai paesi che godono dell'art.5 dell'Alleanza anche se non sono nella Nato, insomma fa quello che dicono gli americani». Carlo Calenda che, invece, ha parlato con la premier, ha un'altra versione: «La Meloni è stata sveglia, ha capito che Trump gli dirà di no e, quindi, fa una proposta a tutti i paesi che vogliono starci». «L'importante - chiosa il ministro Urso - è che noi non mandiamo soldati in terra ucraina».
Forse ha ragione Maurizio Gasparri quando esorta «a non spaccare il capello». Per cui per capirci qualcosa devi andare dall'ex ambasciatore ed ex ministro Riccardo Terzi. «La Meloni parla - spiega - ad una serie di paesi che in questi tre anni di guerra hanno siglato accordi bilaterali di assistenza con l'Ucraina. Tra questi ci siamo anche noi e gli Stati Uniti. E comunque l'art. 5 della Nato prevede solo nell'ultimo paragrafo l'uso della forza. È più lasco ad esempio - cosa che non hanno capito i russi - del trattato dell'Unione europea che in caso di aggressione di uno dei paesi membri prevede l'uso della forza in maniera più esplicita».
Insomma, c'è un po' di confusione ma è comprensibile: dopo settant'anni di pace è difficile riabituarsi alle logiche belliche. Anche nelle parole. A Berlino si festeggia il riarmo. A Bruxelles la von der Leryen cita i nostri avi: «Se l'Europa vuole evitare la guerra, deve prepararsi alla guerra». Da noi, invece, il confronto è tutto lessicale. La politica italiana in alcuni casi si rifiuta di chiamare le cose con il loro nome. È tradizione: nel Belpaese la linea che deve unire due puntini è un arabesco. Per cui dopo tante polemiche si arriva al punto che la parola armi o sue desinenze - è il colmo - è citata nella risoluzione parlamentare del Pd mentre è del tutto omessa in quella della maggioranza.
Eppure sarebbe meglio guardare in faccia la realtà. «La questione del riarmo è di una semplicità disarmante - è la sintesi del sottosegretario alla difesa, Matteo Perego - gli americani ci dicono: vi abbiamo garantito la difesa dal '49 ad oggi con la Nato; ora noi dobbiamo spostare le nostre forze nell'indo-pacifico; siete abbastanza cresciuti per pensare da soli alla vostra sicurezza. Trump lo dice con un linguaggio colorito».
Ma è inutile perché da noi diventa tutto volutamente incomprensibile.
«Ci dedichiamo - sospira Lotito - alle supercazzole. Invece si dovrebbe parlare di esercito europeo, di nuove regole di bilancio. Perché ad esempio non dovremmo mettere a bilancio i beni che abbiamo? Noi abbiamo il Colosseo, la Svezia che ha? I fiordi!?».
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