
Se a chi vive nelle città italiane, o a chi visita i centri storici anche solo di passaggio, non piace vedere saracinesche abbassate, vetrine vuote e luci spente, è perché la chiusura generalizzata dei negozi rende il paesaggio urbano più triste e cupo. E pure meno sicuro, soprattutto quando è già buio o nelle strade meno battute. Gli addetti ai lavori la chiamano desertificazione commerciale. E ieri Confcommercio ha fornito gli ultimi drammatici numeri: in Italia tra il 2012 e il 2024 - come emerge dall'analisi del Centro studi dell'associazione diretto da Mariano Bella, in collaborazione con il Guglielmo Tagliacarne - «sono spariti quasi 118mila negozi al dettaglio (-21,4%) e 23mila attività di commercio ambulante (-24,4%)». Particolarmente colpiti sono i centri storici.
Nei 122 Comuni al centro dell'analisi, inoltre, si assiste alla riduzione di un altro storico presidio su strada: quello degli sportelli bancari, che tra il 2015 e il 2023 sono passati da 8.026 a 5.173 (-35,5%)». L'accoppiata banca + negozi è quella che spegne del tutto le nostre strade. Tanto che la correlazione tra i due fenomeni risulta fortissima: nella maggior parte dei comuni del campione, dove sono spariti il 25-30% dei negozi, hanno chiuso anche il 40-45% degli sportelli.
In controtendenza due fenomeni: sono «in crescita le attività di alloggio e ristorazione (+18.500)»; e si registra una forte crescita delle nuove imprese straniere (+41,4%), mentre quelle a titolarità italiana segnano solo un +3,1%. Ciò influisce anche nei dati della nuova occupazione straniera che, nel commercio, alloggio e ristorazione, arriva a pesare per il 39% (+155mila addetti) sul totale dell'intera economia (+397mila). Un elemento che tende a trasformare in etnici molti esercizi di quartiere. Ma che potrebbe diventare anche un fattore di inclusione sociale.
Tra le cause della desertificazione ci sono senz'altro le vendite on line, che nel 2024 hanno raggiunto l'11% per i beni e il 17% per i servizi. Un fenomeno che Confcommercio invita però a «non demonizzare» in quanto «scelto liberamente da miliardi di persone» in tutto il mondo. Quello che chiedono i commercianti sono «supporti agli investimenti tecnologici: ogni negozio, anche il più piccolo, deve avere la sua vetrina on line» come già fanno da tempo gli esercizi più grandi. Ma per aiutare anche quelli di seconda e terza fascia servono incentivi tecnologici: una sorta di «terziario 4.0» (sulla falsa riga dell'Industria 4.0) che consenta sgravi a chi investe in tecnologia, oltre a un impegno delle istituzioni per colmare i tanti digital divide che ancora esistono in Italia. Con questo tipo di evoluzione anche il negozietto avrà il suo futuro, dicono a Confcommercio. Anche perché il turismo, in forte crescita anche nelle sue forme nuove degli affitti brevi, impatta sempre positivamente sul commercio. Tuttavia il fenomeno b&b dall'altro lato della medaglia contribuisce a spopolare i centri urbani alzando i prezzi delle locazioni. Per questo motivo, come per l'e-commerce, anche per il b&b si richiede un intervento delle istituzioni.
«La desertificazione commerciale - ha detto Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio (in foto) - minaccia vivibilità, sicurezza e coesione sociale delle nostre città. Occorre sostenere le attività di vicinato e il nostro progetto Cities punta a riqualificare le economie urbane con il contributo di istituzioni e imprese».
Il progetto - che ha già presentato 38 proposte a livello locale - si basa su cinque aree di intervento: dalla rigenerazione dello spazio pubblico e dei quartieri, alla mobilità
e logistica sostenibili per la città delle prossimità; dai patti locali per la riapertura dei negozi sfitti, alla gestione collettiva della «Città bene comune; fino alle politiche per gli investimenti in digitalizzazione.
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