San Paolo. Quindici milioni di cileni sono chiamati oggi a votare per un referendum storico. Quello dell'approvazione o il rifiuto di una nuova costituzione, per sostituire quella ereditata dal regime di Pinochet. Nel 2020, il 78% dei cileni aveva votato a favore della stesura di una nuova Magna Carta dopo che un'onda violenta di proteste aveva messo a ferro e fuoco il paese senza che l'allora governo del conservatore Sebastian Piñera riuscisse a contenere la furia dei manifestanti, per lo più militanti del partito comunista cileno e anarchici. Il referendum di oggi rappresenta un importante banco di prova del governo di Gabriel Boric, installatosi a marzo e già nel caos per la crisi economica e sociale. L'inflazione ha superato il 13% annuo e il suo gradimento è crollato al 24%. In ultimo ci si sono messi anche i terroristi Mapuche, designati tali dal parlamento lo scorso maggio. L'arresto di uno dei loro leader Héctor Llaitul a fine agosto ha accelerato la violenza nel sud del paese. Vari attentati si sono susseguiti negli scorsi giorni contro camion e aziende forestali e il trasporto passeggeri e merci è stato bloccato lasciando la regione della Macrozona Sur isolata.
Secondo l'ultimo sondaggio, il referendum si concluderà con un nulla di fatto. Il 45,8% infatti si dice infatti contrario mentre appena il 32,9% è favorevole alla nuova magna Carta. Boric aveva fatto di questa riforma costituzionale la punta di diamante della sua campagna elettorale con la grande novità degli indigeni nell'assemblea costituente. Ma il risultato è stato davvero pessimo come denunciato da editoriali al vetriolo sia di The Economist che del Washington Post. Il Wall Street Journal è stato però il più duro. «Questa costituzione è una lezione per qualsiasi Paese che cerchi di costruire una società libera e giusta, e la lezione è che il terrorismo non può produrre unità nazionale» riferendosi alla violenza delle proteste del 2019. L'ex presidente Eduardo Frei, cristiano-democratico, è favorevole a una nuova costituzione ma ha annunciato che voterà per respingere questa bozza. Tra le sue preoccupazioni dichiarate c'è un «equilibrio e una divisione dei poteri» inadeguati, tali che una maggioranza eletta che controlla l'esecutivo e il legislativo potrebbe portare il Paese «verso un regime dittatoriale» simile a «quelli che nel mondo stanno diventando frequenti». Traduzione: Non facciamo la fine del Venezuela, della Bolivia e del Nicaragua.
Troppo lunga, 388 articoli in 54 mila parole ma, soprattutto, infarcita di populismo. Un esempio tra tutti la parola «natura» in nome della quale si mettono in discussione le politiche economiche di estrazione del rame, di cui il Cile è il primo paese esportatore al mondo, e del litio. Con una costituzione del genere il rischio che gli investitori stranieri si defilino è altissimo e il Cile, nonostante la retorica, ha bisogno soprattutto per l'estrazione del litio di importare know-how che oggi non ha. Più di ogni altro aspetto della bozza, è l'istituzione di un Cile plurinazionale - con la creazione di nazioni all'interno del Paese e di una varietà di sistemi giuridici applicabili a diversi gruppi - a irritare di più i cileni, anche quelli umili della classe operaia nelle aree più remote che vedono il plurinazionalismo come un attacco all'idea stessa di Cile.
Nemmeno gli indigeni sembrano esserne entusiasti. In un sondaggio del Centro di Studi Pubblici di Santiago tra i cileni che si autoidentificano come mapuche, il 70% si oppone all'indipendenza della loro comunità e solo il 12% è favorevole a uno Stato plurinazionale.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.