Dopo il re, ecco il viceré. Riconsacrato Xi Jinping presidente della Repubblica popolare cinese per uno storico e dittatoriale terzo mandato consecutivo di cinque anni, rinnovabile grazie a una Costituzione cambiata ad hoc per fare di Xi l'uomo più potente della storia di Cina, l'Assemblea nazionale del popolo ha scelto ieri, appena 24 ore dopo, anche il numero due di fatto, il nuovo premier, Li Qiang, la figura politica più importante nella gerarchia di potere in Cina. Tutto è andato come previsto. Il numero due sarà solamente lo specchio e l'esecutore implacabile della politica del numero uno. Un fedelissimo di Xi sostituisce dunque il premier uscente Li Keqiang, «il più debole da quando il Partito comunista ha preso il potere in Cina» secondo Chen Daoyin, ex professore di Scienze Politiche all'Università di Shangai. Messo da parte e umiliato da Xi, incapace di lasciare il segno nell'economia cinese, nonostante qualcuno sperasse in un barlume di riforme liberali nel 2013, quando venne eletto, Li Keqiang lascerà nelle prossime ore ogni carica pubblica e ha già passato il testimone dopo un'altra votazione quasi unanime nello pseudo-Parlamento cinese: 2.936 voti a favore, 3 contrari, e 8 astenuti per il successore Li Qiang, che già a ottobre poteva essere certo di conquistare la guida del governo, dopo essere stato designato numero due del Politburo, l'organo apicale del Partito comunista cinese e dunque dello Stato.
Gli occhi del mondo saranno soprattutto puntati su di lui domani, quando ci sarà il debutto nella prima conferenza stampa da premier, in cui emergeranno i primi segnali sulle strategie per affrontare la nuova fase post-Covid, dopo la fine delle politiche dei lockdown serrati e infruttuosi. Ma quel che è certo è che Li Qiang, 63 anni, sarà il perfetto megafono ed esecutore della linea del presidente-re, Xi Jinping. Lo sarà per storia, per formazione e per riconoscenza per il nuovo incarico ricevuto. Nominato candidato premier da Xi in persona, prima della sua rielezione, Li Qiang non è uno qualunque e mai potrebbe esserlo in un regime in cui la fedeltà conta più di qualsiasi capacità. Leader del Partito comunista cinese a Shangai, Li ha cominciato a collaborare fin dagli inizi degli anni Duemila con Xi, come capo del suo staff, quando l'attuale presidente cinese era segretario del partito dello Zhejiang, la provincia orientale dove il premier è nato e di cui diventò governatore nel 2013, dopo la consacrazione di Xi alla guida del Pcc e del Paese. Tre anni più tardi è arrivato il ruolo di capo politico della provincia del Jiangsu, fino ai vertici del Pcc di Shangai. Nonostante i lockdown stremanti imposti alla metropoli e le proteste senza precedenti che hanno minacciato il potere assoluto di Xi, Li non ha mai smesso di avere la fiducia e il sostegno del presidente.
Pragmatico e aperto al mondo imprenditoriale - per quanto questo si possa dire del premier di un Paese illiberale come la Cina - Li si trova ora di fronte la sfida più difficile, quella di rilanciare l'economia cresciuta di appena il 3% l'anno scorso, dopo il disastro del Covid e tre anni di politiche restrittive imposte da Pechino, ora impegnata nella nuova linea della riapertura, che vuol dire l'impegno a raggiungere un modesto 5% quest'anno, il target più basso degli ultimi tre decenni. Il tutto in un contesto internazionale turbolento, tra guerre in corso, conflitti possibili e alleanze pericolose come quella con Mosca. E con una caratteristica che rende il primo ministro Li diverso da tutti i suoi precedessori. È il solo finora a non aver mai ricoperto incarichi nel governo centrale, circostanza che - secondo alcuni analisti - potrebbe costringerlo a dover imparare in fretta, non senza il rischio di errori lungo la via.
La sfida sarà superare l'obiettivo crescita al 5%, tenendo a bada l'inflazione e il debito pubblico, ma soprattutto consisterà nel rilanciare i consumi e rendere la Cina di nuovo attrattiva per le imprese straniere. Secondo la Camera di Commercio americana in Cina, il Paese non è più fra i primi tre preferiti per gli investimenti. E il braccio di ferro politico con l'Occidente potrebbe peggiorare le cose.
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