Più che quello del Dragone, in Cina il 2024 sarà l'anno del Bradipo. Un andamento lento, quasi una sorta di paresi per un Paese abituato per decenni a ben altri ritmi di espansione, sintetizzato dal «circa 5%» di crescita economica prospettato ieri dal premier Li Qiang (nella foto) durante l'incontro annuale del Congresso nazionale del popolo. Parafrasando Mao, Pechino prende atto che la situazione non è eccellente e che grande è la confusione sotto il cielo su come cambiare il suo modello di sviluppo ormai messo alle corde.
Profondi squilibri strutturali interni, provocati dalla deflazione, dalla crisi cronica del settore immobiliare, dal crollo del mercato azionario e dalla marea montante dei lavoratori in protesta per il troppo tirar di cinghia, che vanno a saldarsi alle crescenti tensioni internazionali, imponendo una sorta di strabismo al Paese guidato da Xi Jinping. Distrazioni sul fronte internazionale che la Cina non vuole permettersi, soprattutto dopo le nuove scintille con le Filippine (che ospitano basi degli Stati Uniti) in seguito alla collisione di ieri fra una nave della guardia costiera di Manila e un'imbarcazione cinese vicino alle isole Spratly, contese da entrambi i Paesi. Qualche ora dopo, un secondo «incidente» causato dal passaggio nello Stretto di Taiwan del cacciatorpediniere Uss John Finn. Un «transito di routine da Sud a Nord», a detta della Settima Flotta statunitense, che il gigante asiatico ha bollato come «una provocazione» tale da imporre «un livello di allerta elevato». Nel report il governo indica di essere «fermo nella riunificazione con Taiwan».
Semplici scaramucce dialettiche che acquistano ben altra valenza in un contesto globale caratterizzato dalla corsa al riarmo. È lì dove la Cina manifesta propositi muscolari, rincorrendo l'America sull'aumento delle spese militari, mentre la sfida si fa sempre più aperta sul campo della tecnologia. A cominciare dall'intelligenza artificiale: Pechino intende arrivare all'autosufficienza col progetto «Ai Plus», da cui dovrebbero germogliare nuovi modelli di business per l'industria e l'agricoltura. Più nell'immediato, si punta ad altro: «La Cina sta dimostrando che nel prossimo decennio vuole aumentare il suo esercito in modo da essere pronta a vincere una guerra», ha ammonito Li. Per il terzo anno consecutivo, gli investimenti destinati alla difesa cresceranno del 7,2%, ma da questa economia di guerra deriverà solo un fiacco impulso alla crescita economica. Molti analisti sono scettici sulle capacità dell'ex Impero Celeste di centrare l'obiettivo di espansione previsto, né si aspettano un grosso impatto dall'emissione di 1.000 miliardi di yuan (circa 140 miliardi di euro) in titoli del Tesoro a lunghissimo termine. Ben altro servirebbe, a cominciare da un robusto sostegno al mattone travolto dal crac di Evergrande e dalla crisi degli sviluppatori immobiliari, responsabili della «zombificazione» di intere città.
Una mano tesa che Pechino non sembra però disposta a concedere: tira infatti un'aria di austerity in salsa orientale (il
deficit scenderà dal 3,8% del '23 al 3%) che mal si concilia con le sfide che il Paese ha davanti e con l'esigenza di stimolare la domanda interna per evitare un'esplosione dei conflitti sociali dalle conseguenze imprevedibili.
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