Non c'è modo di poter riflettere sulla Storia senza finire sotto «processo», almeno in Italia e se non si è di sinistra. Capita con una certa retroattività (fosse un processo vero saremmo ai limiti della prescrizione), al Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Il tutto per un libro, scritto a quattro mani con Vittorio Feltri, e pubblicato da Mondadori nel 2014: Una Repubblica senza patria. Storia d'Italia dal 1943 a oggi.
Nel volume il ministro prendeva in esame, oltre a moltissime altre cose, anche la figura del filosofo Giovanni Gentile, ucciso dai partigiani dei Gap (il 15 aprile 1944). Abbastanza per «meritarsi» che al circolo «L'Affratellamento di Firenze» si tenga, il prossimo 19 marzo, una conferenza contro la «falsificazione della storia operata dal ministro Sangiuliano». La sua colpa? Secondo gli organizzatori - fra cui Luigi Mannelli, presidente del circolo operaio fondato nel 1876, e Francesco Mandarano, legale della famiglia di Bruno Fanciullacci, il gappista che sparò mortalmente a Gentile - aver esaltato la volontà pacificatrice di Gentile raccontando solo parte del suo pensiero.
La reazione del ministro? Dice a Il Giornale: «L'idea di farmi un processo evoca un'azione stalinista e violenta. Giovanni Gentile, filosofo fra i massimi del Novecento europeo, unì all'elaborazione costante del suo pensiero una vocazione di riformatore politico-religioso, e ripensò la tradizione italiana alla luce di queste attitudini...: queste parole non sono mie ma di un insigne studioso come Biagio de Giovanni che così definisce Gentile, colui che secondo Norberto Bobbio fu certamente la più perfetta incarnazione dello spiritualismo italiano. Gentile che proveniva dai liberali nazionalisti fu certamente fascista e si schierò per un regime che tolse la libertà agli italiani. Ha commesso tantissimi errori, alcuni molto gravi, a cominciare dal condividere le infami leggi razziali. Tuttavia, mi sento di condividere quanto scritto da Massimo Cacciari: I conti ancora aperti sono con l'opera di Gentile. Ancora attuale è discutere Marx in quanto grande filosofo classico, come ha fatto Gentile».
Ma, evidentemente, non si tratta di un dibattito intellettuale. Giusto per dire in La ghirlanda fiorentina (Adelphi, 2014) Luciano Mecacci ha raccontato per filo e per segno come l'uccisione di Gentile avesse moventi molto men che limpidi e non tutti legati all'antifascismo. Eppure a «processo» finisce solo il Ministro della Cultura. Si sarà sbagliato anche il Ras Farinacci che proprio per le sue aperture alla pacificazione attaccò Gentile su Il Regime Fascista.
O il CLN toscano che ad esclusione dei comunisti si dissociò dalla sua uccisione. Ma anche questa è Storia, non serve a lanciare accuse. Non serve a far politica o ad attaccare un membro dell'esecutivo. Per una riflessione vera chissà quanti anniversari dovremo aspettare.
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