L'affaire Sangiuliano è un caso politico. Anzi no. Dopo le smentite del diretto interessato sul presunto coinvolgimento dell'imprenditrice campana Maria Rosaria Boccia nelle attività del ministero della cultura, i protagonisti della vita politica si dividono in due opposte fazioni. Da un lato quelli che chiedono le dimissioni di Gennaro Sangiuliano, dall'altro quelli che non nascondono un deciso disappunto nei confronti di un polverone mediatico sollevato senza - sostengono - la benché minima base concreta. Tra questi il viceministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale Edmondo Cirielli (foto). Secondo l'esponente di Fratelli d'Italia, la vicenda è «basata sul nulla». «Sia dal punto di vista giuridico - spiega il viceministro - sia da quello politico». Una vicenda, dice, «costruita per delegittimare un ministro che è colpevole solo di aver intaccato dei privilegi finanziari di gruppi legati alla sinistra. Non vale neanche la pena di parlare della questione, che si dimostrerà perfettamente lecita e anche corretta sul piano istituzionale». «Entrare nel merito della scelta o del ripensamento di un incarico intuitu personae - aggiunge - mi sembra incredibile. Lo è tanto più perché negli anni la sinistra si è circondata di collaboratori di tutte le risme, ex terroristi, antisemiti, antagonisti e pregiudicati rispetto a una persona, la dottoressa Boccia, che non presentava alcuna controindicazione. Mi sembra solo l'ennesimo tentativo di creare un caso laddove non c'è».
«Stiamo cioè celebrando l'inseguimento di un gossip e non stiamo parlando di politica - gli fa eco l'azzurro Giorgio Mulè, membro della Commissione cultura di Montecitorio -. Il quadro è ancora confuso, ma ci sono le parole di Sangiuliano e anche Giorgia Meloni ha detto che alla luce dei chiarimenti dati dal ministro si fida di lui e che non intende seguire il gossip».
Per molti esponenti del centrosinistra non si tratta però di semplici pettegolezzi. Piuttosto una «commedia all'italiana», come suggerisce il deputato dem Piero De Luca. «Nomine millantante ma mai formalizzate, soggetti esterni all'amministrazione che hanno partecipato senza titolo ad appuntamenti istituzionali e a cui sono stati trasmessi documenti sensibili - spiega -: sono tanti i lati oscuri che devono essere chiariti. E stupisce che la difesa d'ufficio del ministro, che la premier Meloni ha fatto in diretta tv, sia stata subito smentita sui social con la pubblicazione di documenti che, a detta della premier, non dovevano essere nelle mani della consigliera mai formalizzata». Ora il Pd vuole convocare il ministro affinché riferisca in Aula e chiarisca così i lati ancora in ombra della vicenda. «Il parlamento deve essere informato con urgenza - sostiene Irene Manzi capogruppo dem in Commissione cultura - , siamo davanti a una vicenda che sta disonorando le istituzioni e i cui contorni torbidi lasciano pensare che il ministro Sangiuliano non si trovi più nelle condizioni di agire autonomamente».
Poi c'è chi salva il ministro, ma soltanto a metà. Offrendo una sentenza amaramente solomonica.
«Sul caso Sangiuliano - suggerisce Osvaldo Napoli di Azione - si troverà la fatidica toppa anche se lascerà uno sbrego vistoso nell'immagine del governo, certo non in quella del ministro già ampiamente compromessa dalle sue rodomontate».
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