Sovrintendente delle prigioni russe e di quelle dei territori occupati dell'Ucraina, non aveva esitato nel 2023 a reclutare detenuti, criminali recidivi con condanne pesanti (stupro e omicidio) e quindi disposti a combattere per riottenere la libertà. Non era certo un uomo dalle mezze misure il 46enne Armen Sargsyan, conosciuto anche come Armen Gorlovsky, rimasto ucciso in un attentato ieri mattina a Mosca.
Aveva la cittadinanza ucraina ed era originario di Gorlovka, località che dal 2014 viene rivendicata dall'autoproclamata Repubblica di Donetsk. Ex pugile, ma anche calciatore di discreto livello in gioventù, Sargsyan era riuscito a entrare nel cerchio magico di Putin per l'odio maturato verso l'Ucraina e il sogno di un Donbass libero o comunque sotto l'egida della Federazione Russa. Nel 2022 aveva fondato il battaglione ArBat, un gruppo di volontari reclutati proprio nel Donbass per combattere contro i soldati di Kiev. Una compagnia militare privata sponsorizzata dall'imprenditore russo-armeno Samvel Karapetyan, altro pezzo da novanta dell'entourage dello zar del Cremlino.
La vita ribelle di Sargsyan era venuta alla luce già nel 2014, quando ebbe un ruolo nel corso delle proteste di Euromaidan, creando squadroni della morte per dare la caccia ai manifestanti che protestavano contro l'allora presidente Viktor Yanukovich, di cui era intimo. Amico personale del leader ceceno Kadyrov, collaborava da anni con l'intelligence militare di Mosca.
Le sue truppe, composte anche da wagneriani, hanno inizialmente combattuto vicino a Toretsk, città dell'Ucraina orientale tutt'ora al centro di feroci scontri, per poi trasferirsi nella regione russa di Kursk dopo l'invasione di Kiev dello scorso agosto.
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