La scelta consapevole di morire per la libertà

"Se in Russia vuoi sfidare il potere, devi essere disposto a morire"

La scelta consapevole di morire per la libertà
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«Se in Russia vuoi sfidare il potere, devi essere disposto a morire». Alexei Navalny conosceva la profezia dell'oppositore Mikhail Khodorkovsky. L'ex uomo più ricco di Russia ha scelto Londra e l'esilio. Un'opposizione comoda, direbbe Navalny. Il 47enne dall'occhio trasparente e dal sorriso enigmatico ha utilizzato ogni arma lecita contro Putin e l'incancrenito regime russo alimentato da corruzione e terrore. Prima le manifestazioni di piazza, le proteste e la disobbedienza civile. Poi le inchieste giornalistiche diffuse sul web a ricercare spazi di libertà sempre più compressi. Infine non ha esitato a utilizzare il suo corpo. Dagli attacchi con la vernice verde e la perdita dell'80% della funzionalità dell'occhio destro, fino all'avvelenamento con l'agente nervino Novichok, il «marchio di fabbrica» del Cremlino per l'eliminazione degli oppositori scomodi.

In quella fine estate 2020 sostenitori e intellettuali consigliavano a Navalny convalescenza e ripresa all'estero. Da oppositore in esilio. Lui prima di riprendere un aereo, tornare in Russia e andare incontro al suo ineluttabile destino, raccontò che confidava «di smuovere le coscienze del popolo». Come quando venne arrestato a Mosca nel 2017, rimase dietro le sbarre una sola notte, fuori infuriavano le manifestazioni più imponenti contro Putin e i suoi silokivi. Ma il popolo non c'è più. Chiusi tutti i media alternativi, perseguiti e incarcerati gli oppositori, spenta ogni voce scomoda. Garry Kasparov, lo scacchista dissidente, oggi rifugiato in Croazia, lo evidenzia: «C'è abbastanza colpa da condividere. I russi non hanno saputo eguagliare il coraggio di Alexei nel porre fine alla dittatura di Putin».

Navalny ha percorso la sua strada fino in fondo. Trovando la forza di ironizzare persino sulla deportazione nel carcere-gulag nella Siberia ai margini del circolo polare, sulle 27 visite alle camere punitive di isolamento. Una cella minuscola, il cortile di undici passi per tre in cui poteva uscire solo al gelo dell'alba. Un messaggio per San Valentino alla moglie Yulia. L'ultimo pensiero quasi banale, da uomo normale, di chi ha scelto di morire martire.

Sacrificando persino la sua stessa vita per una libertà che, oggi, ancora in Russia non si intravede nemmeno. Resta quel messaggio profetico nel documentario da Oscar: «Se decidono di uccidermi, vuol dire che siamo incredibilmente forti».

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