I teoremi degli ultimi giapponesi in toga alla vigilia delle elezioni

La sensazione è quella di avere a che fare con gli ultimi giapponesi, cioè i soldati del sol Levante che ignari della fine della seconda guerra mondiale continuarono a combattere per anni, imperterriti, nella giungla

I teoremi degli ultimi giapponesi in toga alla vigilia delle elezioni
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La sensazione è quella di avere a che fare con gli ultimi giapponesi, cioè i soldati del sol Levante che ignari della fine della seconda guerra mondiale continuarono a combattere per anni, imperterriti, nella giungla. Ebbene, Silvio Berlusconi è morto e c'è ancora qualche pm - in questo caso la procura di Firenze - che vuole tirarlo per la giacchetta dentro le inchieste sulle stragi di mafia. L'assurdo è che diverse procure come pure qualche tribunale hanno già detto che questa storia non esiste eppure gli ultimi giapponesi perseverano arrecando danno - mi sia permesso - all'immagine della giustizia italiana.

C'è, infatti, chi rischia un processo anche se la ratio investigativa fa acqua e i teoremi dell'accusa non stanno in piedi anzi, semmai, dimostrano solo una sorta di accanimento. Immaginate che in queste inchieste sulle stragi si interpretano i colloqui del boss Giuseppe Graviano con il camorrista Umberto Adinolfi nel carcere di Ascoli non attraverso le parole ma i gesti : «Graviano dapprima percuote la spalla sinistra di Adinolfi con la mano destra, in posizione cosiddetta a taglio, dopodiché la chiude a pugni e la muove ritmicamente due volte orizzontalmente, per indicare con tutta probabilità un evento esplosivo». Non siamo ad un'indagine sulla mafia ma alla sceneggiatura di una serie della Piovra o di Gomorra. C'è da restare allibiti.

La chiusura indagini di ieri riguarda invece un altro filone imbastito dalla procura di Firenze, diventata il nuovo tempio della giustizia basata sui teoremi, quello per cui Berlusconi avrebbe elargito milioni di euro a Marcello Dell'Utri come segno di riconoscenza per avergli assicurato «l'impunità» sull'accusa «di concorso nelle stragi». In altre parole per aver tenuto la bocca cucita.

Ora chi conoscesse non dico tanto, ma almeno un pizzico della storia degli ultimi cinquanta anni saprebbe che il Cav aveva mille motivi di gratitudine per l' amico finito nel tritacarne di una giustizia spesso condizionata dalla politica. Chi ha inventato e strutturato Publitalia, cioè il polmone pubblicitario che ha fatto la fortuna di Mediaset? Dell'Utri. Chi ha studiato e organizzato Forza Italia, cioè la creatura politica di Berlusconi? Dell'Utri. Quindi, il Cav non poteva non essere riconoscente con il suo amico. Tirare in ballo la mafia è un'operazione strumentale per dare corpo a sospetti e inchieste che si basano sull'acqua.

Gli stessi sospetti che, usando gli stessi pesi, si potrebbero nutrire verso un'inchiesta che ha tanto l'aria di nascondere finalità politiche. Il teorema che c'è dietro, infatti, è banale quanto perverso: le stragi sono servite a Berlusconi per sbarcare in politica (non si capisce la ratio di questa tesi) e per lanciare Forza Italia. Il Cav è morto ma esiste ancora la sua creatura politica. Così - secondo le logiche della giustizia ad orologeria - si chiudono le indagini e si prepara la richiesta di rinvio a giudizio di Dell'Utri e della consorte proprio il giorno in cui si apre ufficialmente la campagna per le elezioni europee. Un copione trito e ritrito e che gli ultimi giapponesi conoscono a memoria.

Anche perché colpire ora Forza Italia ha un senso per quel che è rimasto del partito dei pm: la creatura politica di Berlusconi, infatti, è l'unico partito della coalizione di governo che persegue l'obiettivo della riforma della giustizia con convinzione. Gli altri per alcuni versi appaiono distratti: la Meloni pensa al premierato; Salvini punta all'autonomia. L'identità di Forza Italia, invece, si sposa con una riforma che garantisca al Paese una giustizia più giusta.

Ed è probabile che ancor prima delle elezioni europee Tajani e i suoi riescano a far approvare dal consiglio dei ministri la riforma costituzionale che prevede la separazione delle carriere tra giudici e i pm. Un provvedimento, ça va sans dire, che non farà certo piacere all'ala più politicizzata della magistratura.

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