"Condotta disumana e sprezzo della vita". Così il capo della ditta lasciò morire Satnam

Arrestato Antonello Lovato: omicidio con dolo eventuale. Il gip: potevano salvarlo

"Condotta disumana e sprezzo della vita". Così il capo della ditta lasciò morire Satnam
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«Navi si poteva salvare». Fatali, per Satnam Singh, 31 anni, quei 7 chilometri sul furgone con il braccio amputato e la grave emorragia in atto, per poi essere scaricato in mezzo alla strada dal suo datore di lavoro.

Antonello Lovato, 37 anni, è stato arrestato su mandato della Procura di Latina. Le principali accuse? Omicidio doloso e omissione di soccorso. «Sulla scorta delle risultanze della consulenza medico legale - scrive il gip Giuseppe Molfese che firma l'ordinanza di custodia cautelare in carcere -, la Procura ha variato l'ipotesi di reato inizialmente configurata (omicidio colposo) e ha contestato il reato di omicidio doloso con dolo eventuale. L'autopsia ha accertato che ove l'indiano, deceduto per la copiosa perdita di sangue, fosse stato tempestivamente soccorso, si sarebbe con ogni probabilità salvato. Allo stato deve dunque ritenersi che la decisione di omettere il doveroso soccorso abbia costituito accettazione del rischio dell'evento letale e abbia integrato la causa che ha direttamente determinato il decesso. Le indagini proseguono per altri delitti connessi, con riguardo specificamente all'accertamento delle condizioni di lavoro».

Succede tutto in pochi minuti, il 17 giugno scorso, nell'azienda agricola di Strada del Passo, a Borgo Santa Maria, Latina. Navi con la moglie Soni di 26 anni e altri lavoratori «a giornata» viene portato da un caporale in un campo per la raccolta dei meloni. Durante il pomeriggio Satnam rimane incastrato nel rullo avvolgi plastica trainato da un trattore: un braccio tranciato dal macchinario, gli arti inferiori gravemente lesionati. L'uomo, di origine indiana, perde immediatamente conoscenza. Arriva il titolare dell'azienda, Antonello Lovato, con un suo caporale. Caricano Navi su un furgone assieme alla moglie.

«Credevo ci portassero in ospedale - spiegherà la donna ai carabinieri - invece ci hanno lasciato davanti casa nostra, in via Genova, a Castelverde. Sul furgone ci hanno anche tolto i cellulari». Il braccio amputato lasciato in una cassetta della verdura vicino ai secchioni della spazzatura. Navi a terra. La donna che urla ma non parla italiano. Le vengono in aiuto dei connazionali e, soprattutto, la coppia di italiani che li ospita. I due giovani, Ilario Pepe e Noemi Grifo, i supertestimoni, vedono arrivare il furgone guidato da Lovato, scaricare il 31enne per poi darsi alla fuga. «Lovato ha detto solo che il lavoratore non era in regola e che si era tagliato mentre la moglie urlava: Marito respira, vivo». La chiamata dei due al 118 e l'elitrasporto al San Camillo di Roma, a quel punto, non bastano per salvare la vita a Satnam. I medici tentano l'impossibile ma dopo un giorno e mezzo di agonia Navi muore. Antonello Lovato dopo qualche ora dal fatto si presenta in caserma per dare la sua versione dei fatti. «Ho avuto paura, non sapevo cosa fare visto che l'uomo era stato assunto in nero e non aveva il permesso di soggiorno».

Il padre Renzo rilascia al Tg1 una dichiarazione choc scatenando un'ondata di polemiche: «Ha commesso una leggerezza costata cara a tutti. Mio figlio l'aveva avvisato di non avvicinarsi troppo al mezzo, ma lui ha fatto di testa sua». Il 37enne indagato si rintana in casa. «È sconvolto» raccontano i parenti. «Voglio giustizia per mio figlio - dice la madre di Satnam in un video messaggio dal Nord dell'India -. Immagino cosa stia passando la moglie». Satnam e Soni lasciano il loro Paese tre anni fa in cerca di una vita migliore. Quattro euro l'ora, la paga massima che i due riescono a guadagnare sgobbando per 10 ore nei campi della zona. La Lovato, ditta individuale, di solito ha 4 lavoratori, due assunti regolari e due al nero. Come Navi e Soni. Nel 2023 il padre Renzo Lovato viene indagato con altre 15 persone per il reato di caporalato nell'ambito dell'operazione Jamuna dei carabinieri e dell'Ispettorato del Lavoro.

Nella Agrilovato, cooperativa agricola, gli inquirenti scoprono

condizioni di vita paragonabili alla schiavitù. Stipendi di 110 euro mensili per sgobbare in qualsiasi condizione atmosferica, straordinari non pagati, zero sicurezza e alloggi a dir poco fatiscenti, al di là della dignità umana.

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