Conte accusa i dem per le dimissioni del capo di Agenzia delle Entrate: "Operazione a tavolino"

lI leader dei 5 stelle ribadisce il no alle alleanze: "Mai junior partner"

Conte accusa i dem per le dimissioni del capo di Agenzia delle Entrate: "Operazione a tavolino"
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Tra fischi divertiti, applausi di cortesia, capriole verbali, gaffe (dal Superbonus alla magnificata «solidarietà di Putin» col suo governo durante il Covid), Giuseppe Conte fa il suo piccolo show ad Atreju. Unico leader dell'opposizione a salire da solo sul podio, intervistato dal direttore di Libero Mario Sechi.

Il capo dei Cinque Stelle, che annuncia di sentirsi di nuovo - dopo una breve pausa caffè - «l'Avvocato del Popolo per difenderlo contro i poteri forti», ne approfitta per lanciare l'ennesimo siluro a Elly Schlein e alle sue aspirazioni di leader e candidata premier del centrosinistra: «Noi - tuona dall'alto delle sue percentuali a una cifra nelle ultime competizioni - non saremo mai il cespuglio o il junior partner» del Pd di nessun altra forza politica. «Mai», ribadisce solenne. Nessuna «alleanza organica» col centrosinistra, perché «snaturerebbe le nostre battaglie». Dunque correrà da solo?, è la domanda d'obbligo. Ma l'avvocato del popolo (reloaded) non ci pensa per niente: «a tempo debito», dice, si cercherà l'intesa più conveniente per «costruire l'alternativa di governo»: Elly, se lo vuole in squadra, si prepari a defatiganti trattative sui collegi («Se tutto va bene ne spunteremo tanti», confidano i suoi, ansiosi di tornare nel Palazzo) e sui posti in un futuribile governo giallorosso bis.

Del resto, quando gli si chiede se si sente di destra o di sinistra, Conte si slancia in una delle sue ardite performance retoriche, in cerca di approvazione: «Il discorso è complesso (panico in platea, ndr). Se sinistra è combattere il governo in nome del solo antifascismo, no. Se è accogliere tutti indiscriminatamente, o occuparsi solo delle Ztl non ci sto». E spiega: «Noi siamo progressisti indipendenti», qualsiasi cosa ciò voglia dire. Indipendenti innanzitutto dal Pd, che Conte accusa di «costruire operazioni a tavolino», come quella sull'ex direttore dell'Agenzia delle Entrate Ernesto Ruffini, per insidiare il suo potenziale elettorato.

Il pubblico di Atreju accoglie il suo ingresso sul palco (c'era già stato da premier) con qualche fischio e «buuuu». I padroni di casa invitano al fair play: «La regola d'ingaggio è che nessun nostro ospite venga fischiato». Lui fa il magnanimo: «Sentitevi liberi di esprimere il vostro dissenso». Succederà: quando Conte sfida la platea («Ma che ha ottenuto il governo Meloni?») e l'intervistatore cita lo spread sceso «a 110» punti base, il numero magico gli causa una dissonanza congnitiva: «Sta parlando del Superbonus?», chiede il capo 5s, pronto a rivendicarne i miracoli. «Veramente no, parlo di spread», replica Sechi, e giù risate. Non nega la simpatia per Trump, ricorda i suoi «tweet di grande amicizia», ma rivendica di averlo «fatto arrabbiare» con l'ok alla Via della Seta. «Ma è vero che con Xi parlavate di mascherine?», chiede malizioso Sechi. «Non parlavamo di questioni così minute. Mostrava grande solidarietà per il Covid», giunto del resto lungo la Via della Seta. «E anche lo stesso Putin ci dimostrò grande affezione (sic, ndr)», aggiunge.

Sorvolando sulle colonne di blindati e spioni cui aprì le porte dell'Italia durante l'operazione «Dalla Russia con amore». Russia che, secondo lui, non è neppure responsabile della feroce guerra all'Ucraina: «È solo la Nato che vuole continuare i combattimenti», assicura.

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