Non vedeva l'ora, Giuseppe Conte, di poter tornare sul pulpito dell'emergenza ed impartire in diretta tv i proprio sermoni churchilliani (alle cime di rapa).
La seconda ondata della pandemia gliene ha offerto il destro, e così ieri pomeriggio, fatti convocare cronisti e telecamere, il premier si è presentato sotto Palazzo Chigi ad illustrare le nuove misure appena varate in Cdm: la proroga dello stato di emergenza fino al 31 gennaio 2021, l'obbligo di mascherina all'aperto «a meno che non si sia isolati in campagna o montagna» (al mare non vale?), con sanzioni che possono arrivare fino ai mille euro; persino «una rigorosa raccomandazione anche per le case private: mantenete le distanze anche lì se ricevete amici e parenti, sono le situazioni in cui più si diffonde il contagio». Qui le sanzioni, ammette Conte, sono impossibili, quindi ci si affida al buon cuore dei cittadini. L'impennata nella conta dei positivi e dei ricoveri obbliga «ad essere più rigorosi - spiega Conte - proprio per evitare nuove misure restrittive delle attività produttive».
La nuova emergenza, oltre al risvolto positivo (per Palazzo Chigi) di rimettere sotto il tappeto i dissensi politici e le scelte difficili, e di riportare Conte sotto i riflettori come Grande Timoniere, ha però anche ripercussioni preoccupanti per la sua maggioranza. Lo si è visto martedì alla Camera, quando le numerose assenze giallorosse, in buona parte dovute alle quarantene preventive, hanno mandato sotto il governo sul numero legale dei presenti. Ieri, grazie ad un escamotage tecnico ragionevole (gli assenti per problemi legati all'epidemia non vengono conteggiati come assenti), la risoluzione di maggioranza sulla proroga dello stato di emergenza è passata senza altri incidenti. Ma l'allarme è alto intorno ad altre scadenze ravvicinate, a cominciare dal voto sulla nota di aggiornamento del bilancio. Lo ammette lo stesso Conte: «Se la situazione del contagio dovesse peggiorare è chiaro che ci sarà un problema oggettivo in Parlamento per approvazione di documenti contabili e di bilancio».
Per approvare la Nadef, infatti, occorre la maggioranza assoluta dei membri delle Camere. Al Senato, dove si vota tra una settimana, servono quindi 161 sì. E i conteggi più ottimistici di ieri sera, nella coalizione di governo, si fermavano a quota 158.
E il problema si pone anche alla Camera, assicura il vice-capogruppo Pd Michele Bordo: «Per votare la Nadef è necessaria la maggioranza assoluta di 315 deputati, soglia che non potrà essere mai raggiunta se non sarà risolto il problema di come si trattano gli assenti. E senza Nadef non si può fare neppure la legge di bilancio. Il Parlamento rischia la paralisi». Cresce quindi il pressing per il voto a distanza dei parlamentari, di cui è stato promotore con grande anticipo il costituzionalista dem Stefano Ceccanti, che ha raccolto già più di 100 adesioni alla sua proposta. Ma resistono parte delle opposizioni, l'apparato dei funzionari parlamentari e - di conseguenza - anche il presidente Fico.
Intanto il governo cerca di mediare con le Regioni che si erano ribellate alla stretta sui loro poteri di allentare o inasprire, al
bisogno, le misure nazionali. Davanti alle proteste, l'esecutivo ha promesso maggior concertazione e il ritorno della cabina di regia con gli enti locali. «Un passo avanti», dice il ligure Toti. Il confronto proseguirà oggi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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