Con Giulia Maria Crespi se ne va una protagonista del Novecento italiano, un esempio di nobiltà - non solo d'animo - di rigore e di amore per il nostro Paese. Ci ha insegnato a valorizzare il patrimonio naturale e artistico, ad amare i monumenti e salvaguardare la nostra tradizione. Progressista fino allo stremo, naturaliter di sinistra per privilegio di nascita solo i ricchissimi riescono a persuadersi senza tentennamenti nella giustezza delle idee comuniste ebbe fortissimo il senso della identità nazionale (pur disprezzando nazionalisti e sovranisti), che intuì passa dalla Bellezza, dalle tradizioni e dall'arte. Ecco perché piaceva a tutti. Fin dall'annuncio della morte, ieri mattina, e per tutto il giorno, non si è registrato alcun ricordo meno che apologetico, alcuna voce critica. «Con unanime riconoscenza». «Il più commosso tributo». «La chiarezza del suo insegnamento»...
Ieri, partendo da Roberto Bolle e arrivando a Luca Zaia, Giulia Maria Crespi è stata salutata con commozione e toni elegiaci dall'intero mondo culturale, mondano, imprenditoriale, politico. Ne hanno fatto un sentito necrologio persino il sindaco Beppe Sala, che lei votava ma turandosi il naso «perché ama troppo i grattaceli», e Matteo Salvini, che disprezzava come solo un'aristocratica, non solo dello spirito, sa disprezzare i populismi e il popolo.
Discendente di una famiglia di cotonieri lombardi, cugini dei proprietari della celebre fabbrica di Crespi d'Adda, di quell'altissima borghesia che riesce così bene odiare se stessa preferendole qualsiasi movimento politico che la contesta, Giulia Maria Crespi amava la tradizione filantropica, l'impegno civile e il Potere. Che legò sempre insieme, con un saldo Filo rosso, come del resto titolò, cinque anni fa, la propria autobiografia. Che copre di fatto un secolo, il Novecento: tre imprese di famiglia (il cotonificio, l'azienda elettrica e l'impero editoriale), due mariti (vedova del conte Marco Paravicini e dell'architetto Guglielmo Mozzoni), la turbolenta proprietà del Corriere della Sera tra il 1962 e il '74, i salotti del suo esclusivo palazzo in corso Venezia a Milano, e quelli metaforici dell'Italia che pensa bene e conta meglio (dall'amica Inge Feltrinelli alla finanza buona) e poi la fondazione del Fai nel 1975 sulla falsariga del National Trust britannico
Giovanni Spadolini la chiamava la «fanciullina», pensando erroneamente che il fisico minuto significasse fragilità. La redazione del Corriere della Sera la soprannominò «la zarina», per la sua gestione arrogante del giornale, secondo una definizione di Indro Montanelli, il quale quando ruppe con lei per aver spostato a sinistra la linea politica di via Solferino la bollò come «dispotica guatemalteca». E tutti gli altri «la contessa rossa». E non per il colore dei capelli.
Da giovane amò la contestazione, i movimenti studenteschi, gli eskimi in redazione e si parlò anche (ma lei ne rideva) di una liaison con Mario Capanna. Da meno giovane si infatuò delle battaglie ambientaliste, dell'agricoltura biodinamica e di Greta Thunberg.
Troppo ricca e troppo comunista per essere al di sopra delle parti, entrambe - sinistra e destra - le debbono qualcosa. Il mondo progressista perché grazie a Giulia Maria Crespi orientò per anni il maggior organo di stampa del Paese, quel Corriere della Sera dove, dopo averlo fortemente voluto, a un certo punto licenziò Giovanni Spadolini («come un domestico», disse lui; «stava sempre al telefono con i ministri», disse lei), la cui colpa era rifiutarsi di parlare male dei fascisti e non mettere in guardia l'opinione pubblica borghese sul pericolo di un rigurgito reazionario (altri tempi, ma uguali ai nostri). Il mondo conservatore invece perché grazie a Giulia Maria Crespi, che a un certo punto impose alla direzione del giornale Piero Ottone con le sue ideologie democratiche più avanzate, Indro Montanelli scettico sulla nomina e l'impostazione del suo quotidiano - fu immediatamente allontanato dal Corriere. E così fondò il Giornale, questo. Grazie.
Giustamente ringraziata, ieri, da tutta Italia per il suo straordinario impegno e la sua determinazione nel proteggere e rendere fruibile i nostri tesori paesaggistici e culturali, Giulia Maria Crespi è stata una donna unica. Tenace, coraggiosa, lungimirante, indisponibile se non appartenevi al suo giro, a volte indisponente, sempre sognatrice.
«La vita mi ha dato molto, ma quello che mi ha dato se l'è ripreso con tanto di interessi, dal momento che le cambiali in bianco prima o poi vanno onorate», disse non molto tempo fa.
Pensava alle due vedovanze, al cancro che la perseguitò per anni, e poi alla morte del figlio Aldo in un incidente stradale, lo scorso maggio.Forse non è stata una «leggenda», come qualcuno l'ha voluta piangere ieri, ma una donna eccezionale, anche nelle sue impuntature, quello sì.
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