Roma Elezioni anticipate: un appuntamento che significa nuovi e pesanti costi per lo Stato. Non sono ancora stati diffusi i dati relativi al voto del 4 marzo ma si può ipotizzare non ci si sia discostati molto dalle elezioni del 2013. Allora, il costo totale è stato di circa 390 milioni, ripartiti fra Ministero dell'Economia (38 milioni), Giustizia (14 milioni), Esteri (33 milioni) e Interno (315 milioni). Dicastero più oneroso il Viminale, che ha destinato al solo Dipartimento Affari Interni e Territoriali 237 milioni, di cui 223 milioni ai seggi elettorali.
La spesa maggiore è infatti quella per i territori. Questo, oltre alla spesa per il personale e le Forze dell'Ordine. Alla fine, ogni sezione è costata oltre 6 mila euro. E siccome è ininfluente lo scarto fra il numero delle sezioni previste dal Rosatellum (61.552), rispetto a quelle del 2013 (61.597), sebbene quest'anno vi sia stata un'unica giornata elettorale, la spesa complessiva si può dire sia rimasta sostanzialmente invariata, considerando il doppio voto per le regionali in Lombardia e Lazio e al netto di eventuali rincari per i rimborsi trasporti e personale. Il voto del 4 marzo ci dev'essere costato complessivamente qualcosa come 400 milioni. Una cifra che raddoppierebbe a circa 800 milioni se si tornasse alle urne entro fine anno. A questa stima, poi, va sommato il costo per le elezioni regionali e amministrative. Il capitolo di spesa elettorale per il 2018 sfonderebbe il miliardo di euro.
Ai costi di nuove elezioni, che gravano sulle casse dello Stato, si aggiungono poi quelli di un non governo, che espongono il Paese ad una pericolosa volubilità. A partire dalla fiscalità interna: i conti pubblici italiani incorporano un aumento dell'Iva, l'imposta sul valore aggiunto (e anche la più evasa d'Italia): una zavorra da 12,5 miliardi sulla testa del nuovo governo nel 2019. L'unica possibilità per non lasciar salire i prezzi, è cercare coperture alternative. Ovvero disinnescando le cosiddette clausole di salvaguardia dell'Iva (dal valore complessivo di circa 31 miliardi e 500 milioni), entro il biennio 2019 2020. Spetta al Def, il Documento di economia e finanza che andrà inviato a Bruxelles entro fine maggio e su cui stanno lavorando le Commissioni speciali di Camera e Senato indicare se e come far fronte all'eventuale sterilizzazione delle clausole Iva. Nel vuoto di governo si andrebbe però a un Def «non programmatico». Tradotto: nessuno stop all'aumento dell'Iva, soluzione del dilemma da rinviare al governo che verrà (se verrà). L'intreccio fra incognita di governo e il calendario dettato dalle procedure imposte dalle regole comunitarie è quindi parecchio complesso e rischia di ripercuotersi sui conti interni.
Il 23 maggio prossimo è atteso il Pacchetto di primavera, la valutazione della Commissione europea sui conti pubblici italiani: Bruxelles potrebbe battere i pugni sullo 0,3% di correzione del deficit che l'Italia si era impegnata a realizzare, un «buco» che richiederebbe una «manovrina» correttiva oltre 5 miliardi. Il totale può arrivare a oltre 18 miliardi. Al netto di eventuali speculazioni dei mercati su un'Italia senza guida.
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