Tremano i politici di tutto il mondo. Centoventi per la precisione. Tutti con un denominatore comune: hanno investito in conti off-shore. Ora che c'è la lista, si aspetta. Di sapere, di leggere di questa massiccia inchiesta globale a scoperchiare gli affari dell'élite, della crème. Ogni Paese il suo. E l'Italia c'è. Sono le rivelazioni dei risultati di un lungo lavoro di inchiesta, i «Paradise Papers», che è stato pubblicato sui siti di The Guardian, New York Times, Le Monde, Süddeutsche Zeitung e l'Espresso e che è stato condotto dai giornalisti dell'Icij, un consorzio internazionale di giornalismo investigativo. Ieri è stata buttata la prima bomba. Si attende di scoprire tutti i nomi. Per ora sono usciti quelli di star come Madonna e Bono, Paul Allen, cofondatore di Microsoft, il finanziere George Soros, società del calibro di Twitter, Facebook, Nike e Adidas. Rania di Giordania, la Regina Elisabetta d'Inghilterra. E il giorno dopo è fumo negli occhi.
Il capo dell'opposizione Jeremy Corbyn ha chiesto le scuse della Regina Elisabetta II per il suo coinvolgimento nelle rivelazioni dei Panama Papers, ribattezzati Paradise Papers. Il capo dell'opposizione britannica, nel corso del suo intervento, si era scagliato contro i super-ricchi che «fanno un oltraggio» al fisco britannico e ai comuni cittadini, ha detto Corbyn chiedendo al governo di autorizzare un'indagine pubblica sull'evasione fiscale. Una dichiarazione che un portavoce del Labour si è affrettato a minimizzare, spiegando che Corbyn «non ha chiesto alla regina di scusarsi» e il suo era un discorso rivolto a «chiunque». Tensione anche negli Usa. Il segretario al Commercio americano, Wilbur Ross, si difende dalle accuse di aver mentito al Congresso, dopo che tra i «Paradise Papers» sono emersi documenti che mostrano suoi investimenti in società collegate al cerchio ristretto di Vladimir Putin. Parlando ai giornalisti a Londra, dove si trova in visita di lavoro, l'industriale miliardario ha definito «totalmente incorretto» sostenere che lui abbia nascosto i suoi interessi nella società di navigazione «Navigator» nei documenti finanziari consegnati al Senato prima della conferma della sua nomina. E lo scandalo arriva in Turchia.
Il quotidiano Cumhuriyet è stato il primo a svelare che i due figli e sei nipoti del premier Binali Yildirim risultano intestatari di ben otto compagnie offshore con sede nel paradiso fiscale di Malta. A Erkan e Bulent, i due figli del presidente del Consiglio, risultano direttamente intestate ben cinque delle otto compagnie finite nel mirino dell'inchiesta.
Il principale partito di opposizione, i repubblicani del Chp, esigono ora che il premier chiarisca in parlamento le circostanze del coinvolgimento di ben otto familiari in compagnie offshore attive in ambito navale, ma in alcuni casi non estranee a offrire crediti a compagnie terze.
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