Per la Corte europea le nozze gay non sono un diritto

Gli Stati dell'Unione europea non sono obbligati a introdurre le nozze gay

Per la Corte europea le nozze gay non sono un diritto

Non esiste un diritto al matrimonio omosessuale per gli Stati dell’Unione. Lo ha stabilito la quinta sezione della Corte europea per i diritti dell’uomo, rispondendo al ricorso presentato da da Stéphane Chapin e Bertrand Charpentier contro lo Stato francese. Gli Stati dell’Unione europea sono tenuti a garantire i diritti alle coppie gay ma non sono obbligati a introdurre l’istituzione delle nozze gay.

La causa della coppia francese

Nel 2004, quando ancora in Francia non erano in vigore le nozze gay, i due uomini si erano sposati in Comune di fronte al leader ecologista Noël Mamèredi, sindaco di Bègles, Le nozze erano state in seguito annullate e la coppia si è rivolta alla Corte europea citando gli articoli 12 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Come ricorda La Stampa, che ha riportato la notizia, l’articolo 12 stabilisce che “a partire dall’età minima per contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto”. L’articolo 14 afferma che “il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione”.

La decisione della Corte europea

Secondo la Corte europea, però, “gli Stati restano liberi ai sensi dell’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 8 di non aprire il matrimonio alle coppie eterosessuali e godono di un certo margine di valutazione nel decidere la natura esatta dello statuto conferito dalle altre modalità di riconoscimento giuridico” delle coppie omosessuali. L'articolo 8 della Convenzione, citato dalla Corte, è quello che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare e che “non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

Nel luglio 2015 la Corte ci aveva invitato a legiferare sul tema, ribadendo che non esiste il “diritto umano al matrimonio” e nemmeno quello “all’adozione” e pertanto gli Stati restano liberi di disciplinare la materia come meglio credono.

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