Non solo passerelle e sfavillanti abiti. La moda è molto di più. È impresa, organizzazione, lavoro, flusso di capitali. Business. La raffinata arte del vestire ha incontrato il mondo della finanza, diventando così una voce importante dell'economia. Per questo, parlare di moda significa oggi ragionare di progettualità e di impresa, come è accaduto ieri a Firenze durante lo speciale evento organizzato da il Giornale.
A Palazzo Pucci Roberta Benaglia (ceo di StyleCapital sgr) e Andrea Falchetti (Responsabile Corporate Finance Mid Cap Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo) si sono confrontati proprio sulla congiunzione tra aziende, banche e moda. Ovvero sul perno attorno a cui ruota il settore. «Quando le banche finanziano una società, valutano i flussi di cassa generati. Nella moda, guardiamo al futuro ma interpretando la storia. Per i talenti emergenti si tratta invece di finanziare le startup e Intesa Sanpaolo è organizzata su questo: abbiamo attenzioni specifiche e un centro a Torino specializzato sull'innovazione», ha spiegato Falchetti nel panel condotto dal vicedirettore de il Giornale, Osvaldo De Paolini, accompagnato da Daniela Fedi. E Roberta Benaglia, top manager artefice di importanti e fortunate operazioni (quelle sui brand Autry e Zimmermann, ad esempio), ha raccontato i parametri con cui il mercato valuta il settore: «Contano il potenziale di crescita e il valore intrinseco del marchio, ma anche la resilienza del consumatore, che oggi ha un approccio più intelligente, attento alla sostenibilità. Credo nelle strategie semplici, con uno sguardo al posizionamento, alla parte estetica e alla macchina del retail». Falchetti si è quindi soffermato sul Made in Italy, che «è un brand e ha un valore, per questo nelle acquisizioni vengono mantenuti i nostri lavoratori e il loro know how». Nell'ambito moda - ha proseguito - «abbiamo più di 4mila clienti, anche piccole imprese. I francesi sono molto bravi a far crescere le loro aziende all'estero, ma si sono persi una parte di manifattura che noi abbiamo ancora».
Benaglia ha colto l'assist e spalancato lo sguardo sugli orizzonti internazionali. «Francesi e americani vengono a produrre in Italia perché qui c'è un'arte del sapere fare che altrove non si trova. Il mercato che ci copia di più è quello asiatico e cinese in particolare, che sta riempiendo un gap manifatturiero». Ma anche la Cina, con il suo mass market, rallenta con un effetto contagio.
«Oggi crescono i brand meno esposti sul mercato asiatico, quindi assistiamo a dinamiche legate ad aree geografiche» ha infatti argomentato Benaglia. Oltre a seguire i capitali, oggi la moda italiana non deve perdere la bussola.
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