Un governo che ha rischiato di far uscire l'Italia dal G7? L'esecutivo che ha preceduto Mario Draghi è ormai passato agli archivi, ma ancora oggi si discute delle strategie messe in atto dai giallorossi. L'onorevole Matteo Perego di Cremnago, che è stato eletto tra le fila di Forza Italia alla Camera dei Deputati, è convinto che ora il Belpaese abbia tutte le carte in regola per poter recitare un ruolo centrale nello scacchiere geopolitico internazionale. Un discorso che, prima dell'avvento di questo governo di unità nazionale, non era valido. Nonostante Conte, insomma, il rilancio è possibile ma ad una condizione: che vengano compiute "scelte coraggiose". Non solo: l'Italia dovrebbe investire di più in Difesa - sostiene il deputato -, pure alla luce di una strategia complessiva che dovrebbe badare agli equilibri nascenti.
La vicenda dei Marò è considerata chiusa da pochi giorni. Per l'Italia lo è davvero?
"È stata uno schiaffo per il nostro Paese. Sono stati commessi degli errori nella gestione di tutta la fase emergenziale. Dal nostro Paese ci si sarebbe aspettati un atteggiamento diverso: riportare la nave in acque internazionali, evitando che si creasse questo contenzioso. I due fucilieri di Marina hanno pagato un prezzo molto caro. Ci sono voluti undici anni per porre fine alla questione. L’Italia non è uscita bene da questa vicenda, per quanto le istituzioni non abbiano mai abbandonato i due fucilieri. Sin dal principio si capiva come si stesse cadendo nella trappola indiana. Un altro paese della NATO si sarebbe comportato in maniera diversa. Ascrivo parte della responsabilità a quella politica che ha gestito il caso".
Dice che l'Italia ha perso per strada troppo peso geopolitico?
"L’Italia deve chiarire a se stessa che ruolo vuole giocare nel mondo e in particolare nel Mediterraneo. Operiamo molto bene in diplomazia, ma delle volte ci perdiamo in esercizi diplomatici senza ottenere obiettivi concreti. Voglio citare il caso della Libia. Nel 2008, abbiamo sottoscritto un trattato di amicizia italo-libico con il presidente Berlusconi e con il colonnello Gheddafi. Ora che ruolo esercitiamo rispetto al nostro interesse nazionale in relazione a quella nazione? Il governo Conte è stato fallimentare in geopolitica".
Cioè Conte ci ha fatto perdere altro terreno prezioso?
"Basti pensare ai camion della Federazione russa munitI di bandierine, che portavano sì aiuti, ma facendo dell’Italia un terreno fertile per il soft power russo-cinese. Un paese del G7 come il nostro non lo avrebbe dovuto consentire. Sono sicuro che con il governo Draghi non sarebbe mai accaduto".
Cioè con Draghi, secondo lei, sta cambiando il paradigma geopolitico?
"Mi sembra che sulla Libia Draghi abbia le idee più chiare rispetto ai precedenti esecutivi e mi sembra pure che abbia la volontà di restituire all’Italia il ruolo primario che aveva prima. Credo che in questo Draghi sia diverso da chi lo ha preceduto e che interpreti la diplomazia in modo differente. Pensi a come ha definito Erdogan. Bisogna possedere le condizioni per essere un paese adeguato al G7. E per fare ciò bisogna fare i conti con se stessi, oltre che con una certa visione della geopolitica superficiale, populista e non all’altezza delle nostre potenzialità e delle nostre aspettative di questi ultimi anni. Spero che Draghi possa prendere le redini in mano e condurre il nostro paese dove merita".
Anche perché la geopolitica sta cambiando...
"Vorrei ricordare che non siamo più all’inizio degli anni 2000. Sono emersi diversi attori geopolitici internazionali che sono divenuti importanti. La competizione è sempre più serrata. Non possiamo ragionare come trent’anni fa".
Capiamoci meglio: lei dice che rischiamo di rimanere fuori dal G7?
"Avanti così nei prossimi decenni. Facciamo un paragone: in Inghilterra Boris Johnson ha deciso di investire 40 miliardi in più nella Difesa. In Italia si investe molto meno rispetto ad altri paesi. La difesa è un’articolazione molto complessa. Delle volte si opera per mezzo di semplificazioni. Si pensa che la difesa sia un settore chiuso, strettamente connessa all’impiego dello strumento militare. È una questione decisamente più ampia. Basti pensare alla cyber security".
Lei se ne interessa parecchio...
"È un mondo che interessa anche le infrastrutture dello Stato e tutte le articolazioni del nostro paese: la comunicazione, i trasporti, gli approvvigionamenti energetici e la gestione delle reti. La geopolitica, di cui la difesa è un'articolazione, necessita di una diplomazia coraggiosa ma anche di scelte solide. Siamo una democrazia costituzionale e come afferma l’art. 11 orientata alla pace, al benessere e alla cooperazione internazionale. Non siamo sicuramente degli attivatori di conflitti. Cerchiamo sempre di stabilire la pace e portare benessere nelle popolazioni coinvolte da tensioni. Dobbiamo però - ci tengo a ripeterlo - fare delle scelte coraggiose".
Certo è che la cyber-sicurezza sta divenendo centrale...
"La cyber è l’unico dominio creato dall’uomo e non dalla natura ed è proprio per questo motivo che avremmo dovuto ragionarci prima. È una creazione artificiale. Siamo in ritardo rispetto agli altri paesi. La nascita di un'agenzia nazionale di cyber sicurezza sarebbe un buon punto di partenza, con l' attenzione che non diventi una nuova forma di burocrazia che devono espletare le aziende che entrano in questo sistema. Dovrebbe essere la presa di consapevolezza, in un ritardo siderale, di quanto questo tema coinvolga la nostra vita quotidiana, forse più di ogni altro".
Ci spieghi i perché di questa sua attenzione certosina..
"Esistono diversi tipi di cyber sicurezza. È un tema davvero complesso: richiede uno sforzo conoscitivo importante. Il nostro paese dovrebbe generare una cyber Accademy, ne parla spesso il sottosegretario Mulè. Dobbiamo creare competenze per colmare il ritardo. Abbiamo la necessità di sviluppare tecnologie italiane proprietarie e mantenere in Occidente la supremazia tecnologica rispetto alla Cina. Questa è la sfida più grande. La cyber sicurezza comprende tutela dei dati, patrimonio di brevetti delle aziende e privacy dei cittadini. O saremo capaci di sviluppare tecnologia italiana (almeno europea) oppure tra dieci anni avremo un serio problema. Impiegare tecnologie cinesi, come la videosorveglianza, potrebbe essere rischioso".
Lei è il sostenitore di un disegno di legge sulla figura dei veterani. Non è una "americanata"?
"Per me è la missione di una vita. Vantiamo un grande patrimonio professionale nell’ambito delle forze armate. Bisogna sapere immaginare un mondo come quello americano in cui queste persone, che hanno investito tantissimi dei loro anni in difesa dello Stato e che hanno un altissimo livello di capacità, vengano impiegate nella società civile in un meccanismo virtuoso Sostengo la compenetrazione delle forze armate nella società civile. Se dei servitori dello Stato hanno rischiato la vita per pochi soldi, è giusto che lo stato cominci ad avere coscienza del lavoro di questi uomini. Bisogna valorizzare di più i nostri eroi. È il disegno della mia proposta di legge. Non necessariamente si deve trattare di militari o persone che riguardano le forze armate".
Leggendo la sua bio, ho scoperto che è laureato in filosofia. Mi viene da chiederle: dal punto di vista filosofico, la situazione odierna del post covid che risvolti comporta?
"La pandemia ha messo in discussione i nostri concetti fondamentali. Ci sono delle fasi storiche in cui tutto quello che si è vissuto viene messo in discussione e si riparte da zero. Secondo me questo è un momento di grande valore per la nostra società- Non ho idea di che percezione abbiano gli altri paesi di questa pandemia, ma è il momento di riscrivere alcune regole. La politica potrebbe trarre giovamento da questa situazione. Abbiamo messo in discussione il lavoro, abbiamo ampliato lo smart working, abbiamo capito il valore della tutela della salute. Ci siamo posti tanti interrogativi. Penso che debba nascere un nuovo illuminismo".
Questo "nuovo Illuminismo" di cui lei parla potrebbe avere un problema statistico. La disoccupazione giovanile è circa al 30%...
"Abbiamo un indice di laureati molto basso rispetto ad altre nazioni occidentali. In Italia ha spesso la concezione di uno Stato pervasivo, invasivo e come soluzione a tutti i mali. Sono per l’idea di uno Stato leggero: che fa poche cose e le fa bene e soprattutto che abbia politiche che incentivino la libera iniziativa, la crescita aziendale e le assunzioni. Bisogna interpretare l’economia come un volano per una spinta, non come un qualcosa basata sul sussidio senza preoccupazione. Io sono anti-assistenzalista.
Le start up sono il futuro nel mondo del lavoro. Abbiamo un genio e una creatività enormi. Manca un sistema che possa generare la crescita. Le ricette per l’occupazione giovanile ci sono, basterebbe cambiare l’idea di Stato".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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