Dopo il Covid e la gestione del lockdown, ci si è messa pure la questione morale a rendere ancora più profondo il solco che separa Matteo Salvini e Luca Zaia. Una distanza politica ed umana tenuta sempre accuratamente sotto traccia, ma che, con il passare dei mesi, rischia di sfociare in conflitto aperto. Non oggi, certo. Perché, a 37 giorni esatti dalle elezioni regionali, non avrebbe alcun senso e non gioverebbe a nessuno. Ma, magari, in autunno, quando il Doge - così lo chiamano i suoi - succederà per la terza volta a se stesso alla guida del Veneto. A quel punto, chissà, pure uno niente affatto avvezzo alle polemiche pubbliche come Zaia potrebbe decidere di togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Soprattutto dopo le tensioni degli ultimi giorni.
Ma andiamo con ordine. Gli ultimi mesi, è cosa nota, sono stati difficili in Lega. Con un Salvini perennemente in ansia per il calo di consensi e la contemporanea avanzata su scala nazionale di Fratelli d'Italia. Un quadro nel quale lo strapotere del governatore del Veneto non ha fatto che aumentarne le preoccupazioni. Non tanto per i rumors che lo danno come possibile competitor interno del leader, quanto per il fatto che i due hanno profili completamente opposti. E un successo elettorale di Zaia non farebbe che confermare i dubbi che in molti iniziano ad avanzare sulle ultime mosse di Salvini. Con la gestione dell'emergenza Covid-19, infatti, il governatore del Veneto ha confermato il suo profilo istituzionale, molto pragmatico e quasi mai disposto alle polemiche spicce da talk show. Esattamente il contrario dell'approccio antisistema di Salvini. Di esempi ce ne sono in abbondanza, ma il più significativo è la querelle sull'uso delle mascherine. Mentre Zaia non l'ha mai messo in dubbio, l'ex ministro dell'Interno si è mosso in maniera ondivaga, presenziando alle riunioni dei cosiddetti «negazionisti» del Covid e teorizzando allegramente che la mascherina non aveva alcuna utilità (salvo poi, per fortuna, tornare sui suoi passi).
Così, con il passare dei mesi, la distanza tra i due si è andata ampliando. Fino alle ultime settimane, quando Salvini ha imposto al governatore di candidare gli assessori uscenti nella lista della Lega e non in quella «Zaia presidente». Non un dettaglio, visto che l'obiettivo è quello di evitare che in Veneto la lista personale del governatore superi anche questa volta quella del Carroccio. Cinque anni fa andò esattamente così: 23% una e 17,8% l'altra. Un risultato che, dovesse ripetersi alle Regionali del 20 e 21 settembre, avrebbe un diverso valore politico. Non solo confermerebbe che in Veneto Zaia da solo vale più della Lega, ma, in qualche modo, certificherebbe che un pezzo fondamentale del Nord produttivo non ha gradito la svolta nazionale che Salvini ha voluto imporre al partito.
Ecco perché, raccontano in Lega, l'ex ministro dell'Interno non si sarebbe strappato le vesti per il coinvolgimento dei tre consiglieri regionali veneti nella vicenda dei bonus da 600 euro riconosciuti alle partite Iva per fare fronte al Coronavirus. Un colpo all'immagine di Zaia, anche in considerazione del fatto che tra loro c'è il vicepresidente della giunta regionale, Gianluca Forcolin. Non è un caso che il governatore abbia alla fine deciso di farli dimettere, assicurando che non saranno ricandidati. Scelta su cui Salvini e Lorenzo Fontana, il suo luogotenente in Veneto, hanno molto insistito. E che potrebbe portarsi dietro strascichi imprevedibili. Non è un caso che, intervistato da Repubblica, Forcolin abbia buttato lì che mentre lui è stato fatto fuori, «il governatore della Lombardia è ancora al suo posto». Attilio Fontana, infatti, è stato sempre strenuamente difeso da Salvini, nonostante la vicenda piuttosto imbarazzante dei camici lombardi che coinvolge il cognato e il suo conto svizzero da oltre cinque milioni, scudato cinque anni fa da due trust aperti nel 2005 alle Bahamas.
Insomma, dopo gli ormai celebri 49 milioni, la questione morale torna ad assediare la Lega di Salvini. Prima con i conti all'estero e ora con i bonus dell'Inps (coinvolti anche tre deputati e altri cinque consiglieri regionali in Emilia Romagna, Liguria, Lombardia e Piemonte).
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