Craxi, 19 anni dalla morte, tra esilio e latitanza

Per i detrattori scappò dalla giustizia ma fu il perseguitato per ragioni superiori agli interessi del Paese

 Craxi, 19 anni dalla morte, tra esilio e latitanza

Scriveva dalla Tunisia, rispondeva alle telefonate, tutti sapevano dove fosse, molti lo andavano a intervistare, in tanti si recavano per salutarlo e le sue parole tuonavano contro tangentopoli, non negandola, ma per esigenza di verità. Come dire: un latitante sui generis. Per molti era tale perché, a differenza di Giulio Andreotti, ritenne di lasciare il suo Paese e rifugiarsi lì dove si considerava protetto. La verità è un’altra e duplice.

Il paragone con l’ex democristiano era ed è ingeneroso. Andreotti poteva tranquillamente difendersi in tribunale, senza rischiare il carcere, perché senatore a vita e con tanto di immunità; lui no e quindi arrestabile in ogni momento. Quando capì che quel momento stava per giungere, essendo lui il capo espiatorio della fondata, ma mega e ipocrita, azione moralizzatrice, ritenne di lasciare l’Italia. La lasciò come fosse convinto che le sbarre non sarebbero state l’unica preventiva pena ma, forse, si sarebbe passati a un risolutore “caffè alla Sindona” per chiudere un periodo di violenza giudiziaria che, come obiettivo, puntava a inginocchiare la nazione.

Per questo pensò di non restare in un Paese animato dal livore di alcuni nemici della verità storica. Da terra straniera scrisse, più volte ripetette e comprovò quanto dichiarato alla Camera dei Deputati negli ultimi suoi mesi di attività parlamentare. Fu all’epoca etichettato come colui che per discolparsi da ipotetici reati distribuì la colpa a tutti. La maggioranza degli italiani, a distanza di anni, ha capito che alla base di ogni suo dire ci fosse l’esigenza di verità da parte di un uomo di Stato che portò il Paese a un rispetto mondiale, prima e dopo, negato nelle dimensioni assunte durante la sua presidenza del consiglio.

Diciannove anni fa si spense in terra straniera e a distanza di 228 mesi, come ogni anno, una rappresentanza di italiani e socialisti hanno reso omaggio all’uomo del garofano sepolto nel cimitero Cristiano di Hammamet, in Tunisia.

Tra amici, estimatori e socialisti, i figli Bobo e Stefania, la moglie Anna e la sua tomba che guarda l’Italia con l’epitaffio, suo motto: “La mia vita equivale alla mia libertà”, quella che gli è stata tolta facendolo morire in terra straniera.

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