Il Cremlino ha già "visto" il primo bluff di Trump. Starmer e la linea accorta

Donald voleva sciogliere i nodi in fretta. Londra sa che gli accordi vanno difesi

Il Cremlino ha già "visto" il primo bluff di Trump. Starmer e la linea accorta
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Nemmeno Donald Trump, che pure dimostra di voler assecondare certi disegni del Cremlino pur di autonominarsi Grande Pacificatore, può davvero fidarsi di Vladimir Putin. Lo ha dimostrato in questi giorni l'imbarazzante diffusione da parte del Cremlino, definita «voluta disinformazione» dalla stessa intelligence Usa, della falsa notizia dell'accerchiamento di truppe ucraine nel Kursk russo: Trump l'ha nonostante tutto data per buona, ma rimane il fatto che ad avvantaggiarsene è stato Putin, che ha finto di fare una gran concessione promettendo la vita salva ai nemici «circondati» che si fossero arresi. È, in piccolo, la riprova che il bluff di Trump è stato già visto a Mosca: il presidente Usa pretendeva di sciogliere il complesso nodo ucraino «in 24 ore», poi diventati «pochi giorni», ma la verità è che il bandolo lo tiene Putin, il quale ha bisogno di tempi lunghi e probabilmente non intende affatto fermare questa guerra.

Con il passare dei giorni, in realtà, cresce soprattutto in Europa il timore che il vero obiettivo di Trump non sia tanto il conseguimento della pace in Ucraina, bensì lo sganciamento degli Stati Uniti dalla Nato. Un disegno isolazionista che sembra ricalcare la breve parabola di un movimento politico che negli anni Trenta del Novecento si chiamava guarda caso America First, e che ebbe come capofila il celebre aviatore Charles Lindbergh, accusato all'epoca di flirtare con Adolf Hitler mentre propugnava un «pacifismo patriottico» e la necessità di abbandonare al loro destino gli europei aggrediti dal Terzo Reich. Analogie inquietanti con il presente non mancano: trapela dal Pentagono che Trump starebbe considerando «per ragioni economiche» di rinunciare al ruolo di comando nelle operazioni militari della Nato in Europa, che è tenuto da un generale Usa fin dai tempi di Eisenhower.

Una possibile scelta di questo genere viene considerata da sconcertati analisti militari e politici «come minimo prova di una visione miope», considerate le ricadute di sicurezza per gli Stati Uniti che un tale ruolo assicura da oltre 60 anni a Washington. Ma, appunto, qui la visione sembra piuttosto essere quella ottusa dell'isolazionismo americano. In questo contesto rivoluzionato, l'Europa si trova letteralmente costretta non solo a investire in corsa per la propria difesa, ma anche a cercare una leadership politica adeguata alla situazione. L'ostacolo principale, come sempre quando si parla di politica europea, è il coordinamento tra Paesi diversi.

L'emergenza di natura militare ha fatto sì che il Regno Unito, che ha lasciato l'Ue nel 2016, si sia velocemente riavvicinato a un'Europa che ragiona di come difendersi se il grande alleato americano si sfilasse. Keir Starmer, un politico realista ma fermo nei principi atlantisti, ha assunto insieme con il presidente francese Emmanuel Macron un ruolo guida: logico, in quanto Londra e Parigi sono i soli detentori di arsenali nucleari propri sul continente europeo, in grado quindi di contrapporre l'unico deterrente efficace a minacce russe. Starmer è stato il primo leader a visitare la Casa Bianca dopo l'elezione di Trump e ha chiarito che gli europei intendono svolgere un ruolo attivo nel negoziato tra Russia e Ucraina. Si muove con abilità: loda l'impegno di Trump per la pace e offre concreta disponibilità a schierare truppe britanniche per garantirla, ma è nettamente schierato con Zelensky e ricorda che di Putin non ci si deve fidare.

«Gli accordi con Mosca ha detto ieri devono essere difesi. Abbiamo già visto in passato che Putin non rispetta quelli basati solo sulle parole». Parlava anche a Trump, ma lavora per agire senza di lui se sarà necessario.

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